Cirano di Bergerac (1995)
Di Edmond Rostand
- Interpreti principali: Pino Micol, Sandra Toffolatti, Leandro Amato, Michele D'Anca, Mauro Bronchi, Vladimir Iori, Carlo Del Giudice
- Traduzione: Franco Cuomo
- Musiche: Giancarlo Chiaramello
- Scene: Roberto Francia
- Costumi: Vittorio Rossi
- Regia: Maurizio Scaparro
Link Wikipedia
1. Micol - Toffolatti - Amato - Foto di scena
Programma di sala (pagine 36)
- Un naso, una luna, un attore (Maurizio Scaparro)
- La rbellione del diverso (L. Caretti)
- Via quel pennacchio (Franco Cuomo)
- "Involontarietà" del messaggio (Achille Mango)
- Cyrano de Bergerac (Remy De Gourmont)
- Fotografie di Tommaso Le Pera
UN NASO, UNA LUNA, UN ATTORE
Nemmeno una foglia? Nemmeno una. E la benda attorno alla testa? Nemmeno. Un bastone per camminare meglio? No.
E così sul palcoscenico di un teatro vuoto, con il solo rumore, cadenzato, del passo stanco di Cirano ferito a morte, Pino Micol inizia la sua prova del finale del nostro spettacolo. La sola mano che pressa sulla fronte, a indicare la ferita. L'ultima delle «sparizioni» che mi sono care è così compiuta. La nudità del dolce declivio di legno di Francia si è appena mutata da trincea a convento. «Le foglie...», e Rossana china lo sguardo verso il basso, la mano di Cirano passa dalla testa al cielo, e l'assenza di foglie «vere» diventa presenza teatrale, reale, viva, forse poetica, se potessimo usare questa parola senza confonderci. E poi la pena lenta, sommessa, di una vita confessata in punto di morte, di amori sognati, di baci inventati sulla bocca di altri, di un lavoro intellettuale speso tra contrasti e rabbie, troppe volte inappagato, il nome di Molière che ritorna... E l'invettiva contro il compromesso, il pregiudizio, la stupidità; l'ultimo sussulto prima della morte, la visione della luna di legno che discende dalla soffitta con le sue corde «teatrali», e poi risale lentamente, senza che Cirano possa toccarla prima di morire, e Micol terminare la sua ultima prova su palcoscenico di un teatro vuoto. Questo ricordo tra cento altri, confuso con le paure di sempre, con le prime reazioni del pubblico, le risate, i volti commossi: insomma il primo respiro di uno spettacolo appena nato, il piacere e il rischio del confronto. Questo ricordo è venuto fuori dalla memoria per due ragioni, credo:.. La prima è che questo nostro Cirano era nato attorno a mille scetticismi; al pericolo di un'operazione di consumo che mal si adattava al nostro lavoro di palcoscenico. E quindi il timore non era tanto per un testo collaudato da decenni di edizioni impennacchiate, o per le molte malcelate nostalgie per un testo imparato a memoria in gioventù coi suoi bravi alessandrini, quanto per la reale possibilità, attraverso la traduzione di Franco Cuomo e lo spettacolo, di raggiungere il risultato che ci eravamo prefissi, anche al di fuori del testo rostandiano: ricordare il «vero» Cirano, il suo anarchismo romantico, la sua libertà di pensare e di agire, la sua autoironia lacerante, le sue utopie, nello sfondo di un secolo oscuro, per tanti aspetti vicino all'oscurità e ai turbamenti che ci circondano. Volontà di un messaggio espresso da un testo che involontariamente si poteva prestare all'operazione storica e fantastica assieme. La seconda ragione è strettamente legata alla prima, ai segni di questo spettacolo e anche alle assenze a me care di oggetti e decori superflui. In uno spazio consegnato alla paro1a teatrale (che, occorre ripeterlo fino alla noia, non è la parola letteraria) possiamo con la fantasia e con la ragione conquistare delle verità negate ad altre forme espressive. Tanto polveroso (o nuovissimo) «trovarobato» ha spesso offeso e mascherato queste verità. Vedendo Pino Micol con un nero mantello stracciato, con un povero naso difficile a sopportarsi, ma possibile, umano (così lontano dalla serie dei nasi clowneschi del dopo Coquelin), raccontare le pene di Cirano, il suo mal di vivere, penso al percorso non casuale del nostro lungo sodalizio, dall' Amleto al Riccardo II, messi in scena prima del Cirano, a Il Fu Mattia Pascal, al Don Chisciotte e a Vita di Galileo che lo hanno seguito. Ma questa nuova edizione del nostro Cirano che si aggiunge alle precedenti a distanza di tanti anni, non vuole soltanto ricordare questo percorso, ma anche, e soprattutto, porre l'attenzione, attraverso la figura simbolica di Cirano, sul significato che ha oggi il coraggio, o il desiderio, di ribellarsi alla attuale crescente omologazione verso il basso, riaffermando l'orgoglio e l'importanza di essere se stessi e, se necessario, minoranza. E in più un naso, una luna di legno, un attore come Pino Micol, senza il quale certo questo Cirano non sarebbe nato. E devo ricordare anche un'altra sparizione, l'ultima, le due parole che chiudono il testo di Rostand, il famoso «mon panache», assente nel nostro finale: «Mi avete preso tutto: l'alloro e la rosa... Ma c'è qualcosa che porto con me, nonostante voi, qualcosa con cui stasera saluterò l'azzurra soglia del cielo, qualcosa che non ha piega né macchia... qualcosa che... qualcosa...». Al posto del naso, del «mon panache», la speranza, il sogno, l'utopia, l'amore, anche il teatro, tutto questo insieme, in una mano protesa verso l'alto, verso una luna impossibile che prima o poi raggiungeremo.
MAURIZIO SCAPARRO