Centro di Ricerca per il Teatro con il patrocinio del Comune di Milano presenta Cricot 2 Cracovia:
Crepino gli artisti (1985)
Rivista di Tadeusz Kantor
- Interpreti: La Compagnia Tadeusz Kantor
- Direzione, Allestimento e Regia: Tadeusz Kantor
Link Wikipedia
- Tadeusz Kantor - Foto di scena
Programma di sala (pagine 56)
- Crepino gli aristi (Tadeusz Kantor)
- La prigione - Il personaggio trovato - Io - Il riflesso - L'inglorioso passaggio (Tadeusz Kantor)
- Fotografie di Maurizio Buscarino
- Prima rappresentazione Norimberga 2 giugno 1985
Crepino gli artisti
Istinto, intuizione, inconscio, automatismo, fattori della creazione ... infernali. il caso .. creare consapevolmente le possibilità del casuale. Ho notato che, quando inizio a pensare a una nuova creazione, mi capitano tra le mani cose diverse, elementi apparentemente casuali provenienti da ambiti differenti, inutili, privi di connessione logica, senza alcun legame ragionevole, non si sa che cosa fame. Eppure percepisco, ed è una percezione debole, appena udibile, ma incessante, persistente, ostinatamente pulsante, come segnali che provengono ‘da qualche parte’ sento che hanno una causa comune, ho la sensazione indefinita che sono guidati da una mano, da una forza ignota, che hanno un'origine… Così è stato sempre. Anche ora. Forse riposano in noi certe configurazioni mentali, una sorta di predisposizione, come dei buchi o delle cavità, pronte ad essere riempite, oppure dei bioapparati sensibili che captano queste e non altre idee, immagini…
Il titolo inquietante dello spettacolo: Crepino gli artisti.
Fu la sera del 5 marzo 1982 a Parigi. Una conversazione vivace tra gli amici. La direttrice di una famosa galleria stava giust'appunto terminando il racconto di una storia divertente. Si trattava di ottenere il consenso dei vicini per effettuare certe modifiche di ristrutturazione, riguardanti sia la galleria che gli edifici attigui. I vicini, ovviamente, protestavano. Di fronte all'argomento che la galleria, attraverso le esposizioni di noti artisti, portava fama a tutto il quartiere, una delle vicine urlò: crepino gli artisti! Nello stesso periodo parlai con un noto mecenate d'arte venuto da Norimberga dell'eventuale possibilità di creare qualcosa nella sua città. A un certo punto dissi: l'unica cosa che potrei fare soltanto a Norimberga e non altrove, è la storia del chiodo con cui furono trafitte le guance di Veit Stoss, secondo la legge che prevedeva tale pena per i reati di tipo finanziario. Ciò avvenne quando il Maestro, ormai vecchio, sospinto dalla nostalgia, da Cracovia, dove aveva lasciato la maggior opera della sua vita, l'ALTARE DI SANTA MARIA, giunse alle porte della sua casa natale dopo una lunga peregrinazione. “CREPINO GLI ARTISTI” esclamai rapito per la coincidenza delle due storie. Ecco il titolo del mio spettacolo. Un mio amico di Milano mi ha ricordato una figura poetica costruita secondo il principio della perfidia e del rovesciamento, chiamata dai formalisti “la mossa del cavallo”, che a metà strada cambia direzione. Anche questo si riferisce all'inquietante titolo. In questo spettacolo non c'è una trama. Non è stata scritta una pièce, da cui lo spettacolo debba trarre la sua vita. Lo spettacolo nasce da solo. La sua materia viva è l'ATTORE e tutto ciò che entra nell'orbita della sua AZIONE: pensieri, idee, immagini, il contenuto primario del dramma, oggetti, LUOGO /non la scena, bensì il LUOGO! Esso non si compone secondo le regole di una drammaturgia che attraverso le successive fasi dell'azione si conclude di solito tra l'apertura e la chiusura del sipario. Nel corso di molti, molti mesi si andavano accumulando, come si suoi dire correntemente, tante ‘questioni’, domande, dubbi, idee, pensieri, FORME, quelle nuove e quelle che da tempo attendevano il loro momento di rivelarsi. Tutto ciò fermentava, rigurgitava, rivendicava la sua ESPRESSIONE. Questa mancanza di una trama omogenea, racchiusa nel tempo scandito dal calendario, che è la condizione del DRAMMA, mi ha indotto ad aggiungere un sottotitolo: RIVISTA. Forse hanno agito qui i principi della mia IDEA DELLA REALTÀ DEL RANGO PIÙ BASSO che mi impone sempre di collocare e di esprimere le questioni ‘Ultime’ nella materia infima, POVERA, priva di dignità, di prestigio, indifesa, spesso perfino INFAME. In questo mio vagare coi pensieri intorno a certe questioni che, lo sapevo, sarebbero diventate il tema dello spettacolo, LA SFERA DELLA MORTE, che da tempo mi attraeva, ora si era completamente identificata con l'ambito della scena. Non la morte, bensì la sua sfera, il LENTO E IMPLACABILE MORIRE. Il processo progressivo, quasi avvertibile, incessante, ‘annotato’ e trasmesso agli spettatori / poiché la ‘vicenda’ si svolge in teatro / con il metodo della ripetizione, fino al totale tormento. Questo si avvicina all'arte dell'happening. Il morire / la morte / in tutto il teatro, a cominciare dai cinesi e dai greci, è stato un atto violento, drammatico, spettacolare. Finale Un momento culminante! Un mezzo infallibile che assicura il successo. Disperatamente logoro! In questo spettacolo vorrei che il morire fosse ‘l'elemento coesivo’ che unisce diverse manifestazioni della vita, vorrei che diventasse quasi la struttura dello spettacolo. Secondo il principio del caso descritto all'inizio, avevo trovato un processo analogo in un'opera di Zbigniew Unilowski (1909-1937) intitolata La stanza comune, dove dalla prima all'ultima pagina siamo testimoni del MORIRE del protagonista del romanzo. E quel che è ancor più straordinario: l'Autore vi ha descritto / previsto / la sua propria morte. “La stanza comune”, il luogo del tempo presente, del nostro tempo, L'INFERNUM della quotidianità terribilmente nulla, corredata dei più bassi epiteti. Forse in questo spettacolo ritroveremo a tratti eco remote dei personaggi o dei fatti di quel romanzo. Non si tratta in alcun modo della trasposizione del testo letterario sulla scena. Il procedimento è conforme al mio principio di non servirsi di una realtà ‘costruita’, composta, bensì di opere con una realtà ‘pronta’ / prete /, con personaggi e oggetti ‘trovati’.
È quella SFERA DELLA MORTE a far sì che tutt'a un tratto, come accade nell'ora della morte, appaiano le LASTRE FOTOGRAFICHE DELL'INFANZIA. Della mia infanzia. Perché colui che giace sul letto di morte sono IO - MORENTE, e il SOLDATINO sul CARRETTINO / sul mio carrettino /, da me evocato, sono IO - QUANDO A VEVO SEI ANNI. Con il suo SEGUITO formato nei sogni infantili da soli GENERALI, un SEGUITO fedele che lo difende e con il quale gioca.
È quella SFERA DELLA MORTE a far sì che la fama e la gloria della nazione appaiano sotto FORMA dello splendore mortuario e della decadenza della morte.
È quella sfera della morte a far sì che, cercando nella vita un corrispondente del rituale della morte, della SEPOLTURA, lo troviamo nel concetto della PRIGIONE ... come davanti a una tomba aperta ... si chiusero dietro a lui le porte della prigione.
È quella SFERA DELLA MORTE a far sì che, all'immagine dell'OPERA D'ARTE, la più nobile espressione dello spirito umano, si sovrapponga impietosa mente lo lastra fotografica della PRIGIONE e del SUPPLIZIO.
Norimberga, 22 maggio 1985 TADEUSZ KANTOR