Teatro Stabile di Genova presenta al Teatro Eliseo di Roma:
La coscienza di Zeno (1965)
Di Tullio Kezich dal romanzo di Italo Svevo
- Interpreti principali: Alberto Lionello, Checco Rissone, Serena Bassano, Aldo Pierantoni, Pina Cei, Gianni Fenzi, Enrico Ardizzone
- Musiche: Sergio Liberovici
- Scene e Costumi: Gianfranco Padovani
- Regia: Luigi Squarzina
Link Wikipedia
- Alberto Lionello - Foto di scena - Luigi Squarzina
Programma di sala (pagine 28)
- Un sasso nella coscienza di tutti (Tullio Kezich)
- Profilo autobiografico di Italo Svevo
- Tullio Kezich
- Note di regia (Luigi Squarzina)
- Riconoscimenti
- Teatro Stabile di Genova al Teatro Eliseo di Roma
- Stagione 1965/66
- Il cast
- Fotografie
Un sasso nella coscienza di tutti
Lo sappiamo tutti: le riduzioni drammatiche vanno guardate con sospetto. Qualcuno anzi affermò che si trattava di «una nuova magagna» della scena italiana: fu Italo Svevo in uno dei suoi remoti articoli di critica sull'Indipendente (1882). Benché espresso ante litteram un parere così interessato non può lasciarci tranquilli. E allora enumeriamo pure le ragioni che militano contro il tentativo di trasformare in spettacolo La coscienza di Zeno.
1) Il teatro moderno dev’essere attuazione drammaturgica di idee originali, non pretesto di operazioni culturali.
2) Svevo è lo scrittore di un'autoanalisi problematica, ironica, contraddittoria. Uno studioso francese, Jean Poullion, ha scritto che è difficile stabilire una coerenza fra la nostra idea di Zeno, la sua su se stesso e quella che vorrebbe imporre al lettore. Sul palcoscenico tale difficoltà si dilata ancora di più.
3) Il linguaggio di Svevo è tagliente e spigoloso, un italiano paradialettale miracolosamente recuperato dall'ex allievo di una scuola tedesca. Nessun dialoghista oggi potrebbe rispettarlo fino in fondo, nessun interprete renderlo in tutta la sua gamma particolarissima. E poi, lo dice anche Zeno, noi triestini con ogni parola italiana mentiamo.
4) Svevo impone un rispetto assoluto. Nessuna manipolazione può rispecchiare la complessità della Coscienza nei fatti e soprattutto nei sentimenti.
5) Le riduzioni dei romanzi sono da abbandonare ai divertimenti domenicali del pubblico televisivo. Appartengono alla civiltà analfabetizzante dei digest, indicano un'anemia dello spirito contemporaneo.
Ci siamo ripetuti queste e cento altre obiezioni non so quante volte, abbiamo cercato di farle nostre e occasionalmente ci siamo perfino riusciti. Se dicessimo di aver vinto tutte le esitazioni, i dubbi, le riluttanze, saremmo poco sinceri; e pochissimo sveviani. L'ambizione di portare sulla scena La coscienza di Zeno ha resistito. Potremmo dire che è un tentativo di allargare la conoscenza di un libro ancora relativamente poco noto: una proposta fatta al pubblico nuovo, quello che vanno scoprendo i migliori Teatri Stabili, per una lettura critica e collegiale di un capolavoro letterario. Se non siamo abbastanza bravi per inventare parole nuove, portiamo sulla scena parole di altri: l'importante è che il discorso sia vivo e attuale. E che una comunità possa meditare sul proprio destino attraverso ciò che vede rappresentato sul palcoscenico. Svevo ha isolato certi rapporti dell'individuo con i suoi simili in maniera definitiva: e ha saldato con miracolosa intuizione l'angoscia privata a quella di tutti. La profezia che conclude La coscienza è fatta per essere letta ad alta voce come una pagina di meditazione laica. Svevo, del resto, aspirava a un rapporto diretto con il pubblico, scrisse tanto teatro rimasto a invecchiare lontano dalle scene (con la solitaria eccezione di Un marito) per la scalogna che perseguita i decentratissimi, umiliati, orgogliosi autori triestini. Quando Scipio Slataper scrisse che Trieste può essere il limite e insieme il segno della salvezza voleva dire che la cultura di questa città nasce lontano dalla matrice italiana e con una grande nostalgia del grembo materno: ma nell'insofferenza e nell'errore, nei contatti difficili ed educativi con gli stranieri in casa diventa europea prima di finire provinciale. Perciò un commerciante di vernici sottomarine, in una città apparentemente chiusa al bello e al vero, capì ed espresse più cose di tanti che altrove s'illudevano di vivere dentro la cultura perché frequentavano i caffè letterari. All'alba del secolo nuovo Svevo e Trieste contenevano tutte le angosce, le distorsioni, le follie del mondo che stava nascendo. Non a caso l'itinerario di Zeno Cosini muove dagli abissi freudiani (ed è, si badi alle date, un'impostazione ancora rivoluzionaria) e si conclude con la visione dell'Apocalisse atomica. Come non farci impressionare da tanta lucidità storicistica? Ma Svevo non ci insegna solo a trovare il tragico nel quotidiano: anche il quotidiano nel tragico. Corregge con l'umorismo i fondi neri del subconscio, ci aiuta ad accettare la nostra disperata situazione di uomini. Quando si nasce fra i refoli di bora La coscienza di Zeno non è soltanto un libro: è un sasso nella coscienza più o meno stagnante, più o meno morta, di tutti. Ecco perché trascrivendo il libro non ci è parso di fare un adattamento teatrale; piuttosto un'autobiografia per procura.
TULLIO KEZICH