Teatro Bellini Teatro Stabile di Napoli presenta:
La tempesta (1990)
Di William Shakespeare
Interpreti principali: Tato Russo, Gianna Beduschi, Hal Yamanouchi, Romita Losco, Alfredo Gatti, Ernesto Mahieux, Massimo Sorrentino
Traduzione ed elaborazione: Tato Russo Musiche: Patrizio Marrone Movimenti coreografici: Aurelio Gatti Costumi: Giusi Giustino Scene e Regia: Tato Russo
Programma di sala (pagine 54)
- Shakespeare la vita (Nemi D'Agostino)
- Le opere (Mario Praz)
- La bacchetta di Prospero
- Note per la messinscena - Le Musiche
- La Tempesta (Livio Galassi)
- Il cast
- Fotografie di Tommaso Le Pera
Prospero è il gran mago del teatro, il gran regista della cabala, poeta e deus ex machina, giudice e demiurgo, attore carismatico e santo, dio vendicativo e benefico, grande alchimista della messinscena della vita. Sa e prevede tutto e sembra per questo riproporre anche il clima e il tema della tragedia della predestinazione. Dio di cristiana memoria, egli è il padrone della fantasia, il signore del Pensiero reso Ariel, è il principe degli effetti, il governatore dei fulmini e dei tuoni teatrali, è il miscelatore delle possibilità di spettacolo. Il Teatro, più che il granducato di Milano, è certamente il suo regno e la musica, il canto, la poesia e il suono le sue armI. Ma è anche il signore del soprannaturale, il mago di bruniana memoria, legato ai viluppi della magia occidentale non violenta ma liturgica e catalizzatrice. I suoi Ariel non sono spiriti dell 'aria, bensÌ spiriti, pensieri, presenze, idee della testa, sono i lari del teatro, che alla maniera del grande "aum" panteistico s'alimentano del respiro dell'universo. Essi sono parte di Prospero, "sono" Prospero. E, nella sua fantasia imprigionati, sono il pensiero di lui e la simultanea e perfetta realizzazione. Ariel, non essere diverso, non uccello in gabbia, bensÌ pensiero, molteplice e onnipresente nella mente di Prospero, di questi esprime la poesia, la ricerca dell'infinito, l'aere e la linfa, va in cerca di libertà ma muore con la morte poetica di Prospero, col ritorno di lui all'umano, con le dismissioni dello spirito e delle arti magiche. Spazzato via lui, con tutti gli altri, da un tuono ora vero, e da una vera pioggia purificatrice, lui, simbolo della compressione dello spirito nella carne, muore sotto la grandine della redenzione. Ariele, multiforme e trasformista, scherzo della fantasia, gioco della mente, essere "ubicumque", uno e molteplice, è l'arte della creazione resa in concreto. Ora voce, ora canto, ora danza, ora musica, ora illusione, ora uomo, ora danza, è il perfetto abitatore di un'isola che è l'isola della mente. E' l'angelo a\chemico. Lo spirito dell 'isola, parto della fantasia di Prospero e morte della fantasia di Prospero. Ed è anche il gran direttore di scena del teatro di Prospero, il grande attrezzi sta addetto alla macchina degli effetti teatrali, servo di scena del primo attore Prospero. Egli è tutti i lari del teatro di cui Prospero è il gran demone. E' anche il contraltare spirituale della gran serie di esseri animali che sono i mostri del racconto. Stefano e Trinculo delinquenti e assassini (ovvero il livello più basso della corsa al potere) non più stereotipi cialtroni e comici dell' Arte di portata esteriore, non hanno qui molta consuetudine con la razza dei pulcinella e degli arlecchini, anche se dagli scenari dell' Arte prendono spunto. Carichi di odio come sono, diventano la vera esemplificazione della brutale voglia di delinquere. Essi sono il delitto consumato al livello più basso. Sono i veri mostri che fanno da contrappunto al "supposto-mostro" che è Caliban, più figlio e anagramma della cabala che cannibale, indigeno e mostruoso figlio di strega, detentore dei misteri dell'esoterico, non "povero negro" certamente, ma selvatico, uomo e pesce, deforme e diverso in qualsiasi modo. Lui l'indigeno dalla natura magica e dalle strane forme, che incarna da gran protagonista il sogno non solo elisabettiano del romanzo d'avventura e il gusto di narrare l'esotico e il meraviglioso, è il vero nascosto protagonista del!' opera. E tutta sua è la tragedia di rimanere sull'isola infine, ricco di tutto, reso umano e cosciente d'una solitudine ormai definitiva e prima sconosciuta. Vittima vera e unico perdente, non rappresenta la tragedia del colonizzato bensì il dolore del diverso, che della sua diversità ha ormai la più amara coscienza. |