Teatro Massimo di Palermo presenta:
Persefone (1956)
Melodramma in tre parti di Andrè Gide (versione ritmica italiana di Vittorio Gui). Musica di Igor Strawinskij
- Interpreti principali: Edmonda Aldini (Persefone) Alessandro Ziliani (Eumolpo) IL BALLO: Helène Trailine (Demetra) Wladimir Oukhtomsky (Triptolemo) Carlo Faraboni (Angelo della notte)
- Maestro Concertatore: Tullio Serafin
- Regia: Janine Charrat
- Coreografie: Janine Charrat
- Maitre de ballet: Carlo Faraboni
- Scene e Costumi: Toti Scialoja
Programma di sala (pagine 64)
- Il programma è condiviso con l'opera "Cavalleria rusticana"
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
L'Argomento
Il sacerdote Eumolpo invoca Demetra, la Dea dai mille nomi, dispensatrice di grano. La vicenda, che subito ne segue, ha per sfondo una prateria dove fiorisce un grande fior di narciso e dove, tra una fila di rocce, passa la via dell'Averno. Demetra, costretta ad allontanarsi, dà l'addio e Persefone che raccomanda alle Ninfe. La giovane, appena ridesta da un dolce sonno ristoratore, è incitata ai giuochi dalle compagne che intonano inni allo zefiro e ai fiori. Eumolpo, presago della sorte alla quale Persefone muoverà incontro, ammonisce che il più bello dei fiori - il narciso - nasconde l'insidia fatale: chi ne aspira il profumo scoprirà il mondo degli inferi. Invano il coro delle ninfe tenta di impedire che la figlia di Demetra si accosti al fiore. Persefone è già curva sul calice del narciso e già vede "su prati sparsi d'asfodeli - ombre pigre vagare". La fanciulla coglie il narciso. La sua danza ora esprime desolazione e inquietudine. Scende verso la via tra le rocce, gli occhi fissi al fiore che ha in mano; "Popolo doloroso delle Ombre, tu m'attrai; io vengo a te!". Eumolpo dà inizio al secondo quadro commentando l'accaduto: "Così fu che il Re degli inferi, l'infernale Plutone, - rapì a la madre Persefone - e alla terra la primavera". L'azione si trasferisce ai Campi Elisi, ov'è la reggia di Plutone. Persefone dorme tra il Coro delle Ombre, mentre le Danaidi attingono acqua al fiume che attraversa la scena. Al suo risveglio, la giovane si mostra affascinata e incuriosita da quel che le è dato vedere. Il coro ed Eumolpo le parlano dello "strano paese" doye la morte del tempo fa eterna la vita e nel quale ella sarà regina. Persefone promette di prodigarsi per far felici le Ombre, ma le Danaidi le spiegano che le Ombre non sono infelici, poichè "altro destino non hanno - che senza fine ricominciare - il gesto incompiuto del vivere". Ad esse la innamorata del narciso parla di Demetra, la dolce sua madre, finchè il richiamo di Plutone la interrompe. Ombre drappeggiate di nero escono dalla reggia, cariche di gioielli, per farne dono a Persefone. La fanciulla ammira quelle gemme, ma le rifiuta: "il più fragile fiore del prato - l'è ornamento più grato". Le nuvole, il fondo della scena si aprono per lasciar passare Mercurio seguito dal corteo delle Ore, ognuna delle quali reca una offerta a Persefone. Ma la fanciulla ancora una volta respinge i doni. Mercurio continua a sperare che Persefone, ricordando la madre, si lascerà tentare da un frutto che trattiene un raggio di sole. Infatti, la figlia della Dea afferra e morde il frutto maturo. Mercurio e le Ore scompaiono, mentre Persefone è colta da turbamento: ella è ripresa dalla malia del narciso nel cui calice le è dato rivedere gli aspetti della terra da lei disertata: una terra senza più fiori, canzoni, profumi; un mondo che inutilmente spera nel ritorno della primavera. Ma Eumolpo - che anticipa gli eventi - reca una parola di speranza: neppure l'inverno può durare eterno. Demetra ha accettato di allevare Demofoonte, affldatole da re Seleuco. Persefone immagina di veder la madre cullare il fanciullo, destinato alla immortalità. Ella, adesso, è ansiosa di tornare sulla terra, incontro a Demofoonte, colui che sarà Triptolemo ed al quale ella apparterrà, per amore. Fu così - commenta Eumolpo, preludiando al terzo quadro - che venne restituita Persefone alla madre e alla terra la primavera. In scena è un tumulo sormontato da verdi quercie, e fiancheggiato dall' ingresso di un sepolcro, a guardia del quale è il Genio della Morte con in mano una fiaccola spenta. Sullo sfondo, una collina dominata da un tempo dorico. Un coro di adolescenti muove incontro alle Ninfe, per recare insieme omaggi floreali al tempio di Demetra. Salgono le lnvocazioni al ritorno di Persefone: "Tempo è ormai - è l'ora al fin che tu sorga - dagli antri della notte, Primavera!" Ed ecco, Persefone sorge dal sepolcro: la sua danza - come la vede e la commenta Eumolpo - è una parola che felice si propaga. La risorta si lancia verso il giorno. Persefone raggiunge le Ninfe e Demetra e Triptolemo al sommo della collina, dove vengono celebrate le mistiche nozze. Poi, la fanciulla ricorda alla madre, allo sposo, agli uomini tutti, ch'ella non potrà tradire il mondo delle Ombre: "Mai più potrò scordarti, o verità desolata!" Ella invoca Mercurio a testimonio del patto che l'ha restituita alla Terra, nell'intesa che sarebbe ancora tornata nell'Ade, fino al fondo dell'umano dolore. Persefone toglie di mano a Mercurio la fiaccola accesa e scende verso la porta sepolcrale che per le i dischiude. "Perché primavera rinasca, si vuole - che il seme sepolto costretto a morire - dentro la terra per ricomparire - in messe d'oro domani, nel sole" - è il commento conclusivo di Eumolpo.