Da SCENARIO Num. 10 - Ottobre 1941:
- Il terzo capitolo dell'avventurosa vita di PETROLINI - Il macchiettista vagabondo
Autore: Mario Corsi
IL MACCHIETTISTA VAGABONDO
Nuove esperienze Petroliane - Da brillante a incendiario - Macchiettista e cameriere - Primi successi all'Impruneta - Il prognostico di Ferdinando Paolieri - Il taccuino della gloria - Ritorno all'operetta - Delusioni di Bordighere e Sanpierdarena - Il Principe di Monaco - Ancor nella pista: pagliaccio e inserviente - Sulla scala della fama - un trio atroce ad Anita di Landa
A Roma non c'era proprio più nulla da fare. Inutile sperare una scrittura in un locale, sia pure di secondo o terz'ordine, dopo aver calcato le tavoie delle baracche di Piazza Guglielmo Pepe e dei più modesti caffè-concerto dei dintorni. Petrolini capì che bisognava andare altrove a guadagnarsi i galloni, per tornare poi a Roma coi diritti del nuovo grado; e, senz'altro, partì per Firenze, con le commendatizie di un modesto attore toscano che sosteneva la maschera di Stenterello in una birreria romana. I giorni che seguirono furono difficili e duri; ma non disarmarono il giovane artista, deciso a sbucare ad ogni costo e a non ripresentarsi ai congiunti, agli amici, ai concittadini senza essere quaicuno. Delle peripezie di quel fortunoso periodo qualche cenno è nel volume già citato Modestia a parte..., nel capitolo "Le mie esperienze". Che gli episodi riportati con romanesca salacità in quel racconto siano tutti veri, non oserei giurare. Nelle pagine che scriveva, Petrolini si studiava di narrare più che la sua vita, la sua leggenda, infiorandola di aneddoti, di storielìe, di barzellette e di battute ironiche o strampalate, precisamente come faceva quando parlava al pubblico dalla ribalta. Ad ogni modo, non abbiamo ragione per non credere alle avvenrure da lui riferite con tanta scanzonata sincerità intorno a quel suo primo viaggio attraverso l'Italia centrale e settentrionale, fino alla partenza per l'America e al lungo giro artistico nei paesi d'oltre Oceano, che fu il suo primo sbalzo verso la notorietà. Arrivato, sulla fine del 1905, a Firenze, Petrolini si presentò ad un certo Giovanni Puma, "buffo napoletano", cui era stato indirizzato dallo Stenterello conosciuto a Roma. Il vecchio comico partenopeo accolse affabilmente il giovane collega romano e lo scritturò per recitare nella farsa che concludeva ogni sera lo spettacolo. Si trovarono immediatamente d'accordo per la farsa della prima sera: I due ladri. - Ah! li conosci? / Li ho recitati con Totonno Lombardo. / E come erano i lazzi della spartizione del denaro? / Dici uno, dici due, dici tre, dici quattro, dici cinque, dici sei, dicissette, diciotto, diciannove e venti...
Giovanni Puma rimase soddisfatto e Petrolini diede un respiro: era a posto! La sera tutto andò nel migliore dei modi. La farsa piacque e piacque anche Petrolini: tanto che I'impresario del locale, per intercessione del Puma, disse di essere disposto a passargli da quel momento vitto e alloggio. Soggiunse che per la paga si sarebbero messi d'accordo nei giorni successivi, se avesse continuato a incontrare, come la prima sera, il favore del pubblico. Ma lasciamo raccontare a Petrolini.
"Dopo lo spettacolo vidi preparare una bella tavola. In quell'epoca vigeva I'uso che gli artisti consumassero i pasti nel locale in cui lavoravano, (Il contratto diceva lire X seralmente, con I'obbligo del vitto nel locale). Non appena a tavola - io ero tra il maestro e Giovanni Puma - cominciò la solita schermaglia di frizzi da parte dei frequentatori privilegiati che potevano assistere al pasto degli artisti. L'umorismo a base di spiritosaggini mai nuove, sempre insipide, oppure a doppio senso, era rivolto alla bella duettisa del Puma. Io, veramente, mi preoccupavo poco di ciò che dicevano; perchè, non appena seduto, mi sgranai un filoncino. Ero ancora alle prese con una zuppa di magro, quando qualcuno avvertì una certa puzza di bruciato. - Ma da dove vieoe questo puzzo? - Deve bruciare qualche cosa. - Qui si asfissia! "Alzai gli occhi verso il palcoscenico - chiamiamolo così - e vidi un fumetto che usciva dall'apertura di una tenda, precisamente dalla parte dove mi ero vestito io. Intuii il disastro. A quel tempo ci si truccava alla luce di una candela, ed essendo stato io I'ultimo ad uscire dal camerino, mi ero dimenticato di spegnerla. Ero io l'incendiario!... (La candela, non protetta dal candeliere, fissata semplicemente sopra un tavolinetto che aveva per tappeto un foglio di giornale, ridotta agli sgoccioli, aveva dato fuoco al giornale e al resto). Mi precipitai nel retrobottega. Afferrai un secchio, lo riempii d'acqua e corsi a scaraventarlo in quel camerino largo un metro quadrato. Ma il rimedio fu peggiore del malanno. Perchè spensi, sì, I'incendio: ma fracicai due vestiti di merletti e di lustrini paillettés di proprietà della duettista. Non vi descrivo il parapiglia. Quei vestiti costavano un patrimonio. L'artista si rivolse a me, dicendo: "- Accidenti a voi e quando ci siete venuto! - "Ma chi ce I'ha mandato? - disse uno dei candidati alla nottata dell'artista. "Ed un altro, rivolto al Puma: " - O che bisogno c'era di queste farse! "Tutti erano contro di me: solo Puma, col suo silenzio, per lo meno, prendeva le mie parti. Io non ebbi il coraggio di reagire: mi sentivo Ferruccio con intorno una turba di Maramaldi. Dentro di me avevo già rinunziato alla pietanza, giacchè capivo che non avrei potuto mangiarla. Non sapevo che fare; non sentivo di dovermi scusare, e così, col gnocco in gola, mi alzai, mi misi il cappello, arrivai alla porta a vetri e mi rivolsi a tutti, gridando: " - Li mortacci vostri! - Poi, di corsa, per Via Calzaioli".
Nonostante la romanesca invettiva, Giovanni Puma venne ancora in suo aiuto, portandogli, nel caffè in cui si era rifugiato, la valigia col corredo di scena e indirizzandolo in un locale di Sesto Fiorentino, dove egli era scritturato e non poteva più recarsi per un altro impegno. - Il proprietario di quel caffè - disse Puma - è un buon cristiano. Digli che ti ho mandato io e che sei più bravo di me, e ti troverai contento. Eccoti cinque lire: il primo tram parte alle sei... Petrolini seguì il consiglio e, arrivato a Sesto Fiorentino, si presentò al proprietario del caffè. Questi sulle prime accolse la notizia dello sostituzione del Puma di malumore; ma finì per accettare, e la sera rimase soddisfatto di Perolini, specie dopo che ebbe cantato, con successo vivissimo, la canzonetta Il birichino, che cominciava così: Io sono il birichino / io sono il vagabondo / il primo sbarazzino che gira per il mondo, e al ritornello dava modo a Petrolini di eseguire un buffo passo di danza russa che mandava in visibilio il pubblico. A Sesto Fiorentino Petrolini rimase tre settimane; e furono tre settimane tra le migliori di quel burrascoso periodo, sebbene il padrone del caffè pretendesse dal suo scritturato - ben nutrito e discretamente retribuito - di fare, durante le sue assenze, un po' da padrone e un po' da cameriere del locale. Dopo Sesto Fiorentino venne una scrittura all'Impruneta, durante il periodo della popolarissima fiera cui una volta non disdegnavano intervenire i Granduchi Medicei e di cui il Callot si divertì, sulla fine del Seicento, a incidere col suo bulino paziente e giocondo i particolari più caratteristici in una stampa oramai celebre. Qui, all'Impruneta, un delizioso paese etrusco di seimila anime, dritto sopra una verde collina a sette miglia da Firenze, uno scriftore fiorentino nobilissimo, Ferdinando Paolieri, fu il primo a prognosticare a Ettore Petrolini un lieto luminoso avvenire. In un capitolo del suo mirabile Natio borgo selvaggio, là dove descrive il primo spettacolo di varietà organizzaro in quel Caffè Apollo con due o tre sciantose ed un buffo, il Paolieri ricorda appunto "il comico Ettore Petrolini, il quale diventò il beniamino del pubblico, e se si fosse trattenuto lassù, I'avrebbero fatto anche Sindaco!". "Egli - continua Paolieri - non aveva a quell'epoca, per tutto patrimonio che tre nasi di cartapesta e una dose di sfacciataggine incredibile, la quale gli permetteva di dire, senza ridere, Ie cose più atroci. Gli davano due lire per sera! Codesto artista aveva indovinato la psicologia della società moderna, e per questo finì col fare forruna, e col trovare, poi, il giusto mezzo per disegnare la caricatura aristofanesca di tutta la retorica e del romanticume di quel tempo". Petrolini comincia dunque a farsi notare. Le sue piccole e brevi "creazioni" sono delle buffonerie scomposte e traboccanti di comicità sfrenata e spontanea, nelle quali lo spettatore trova qualche cosa di nuovo. A guardarlo e a starlo a sentire si capisce già che quel giovanissimo strano macchiettista, anche quando fa la parodia di personaggi noti e triti sui palcoscenici del caffè-concerto, ha da smerciare una inesauribile riserva di comicità. Ed in quel piccolo mondo si comincia a parlare di ìui, e il suo nome fa la prima comparsa sui manifesti e, timidamente, nei giornali. In mezzo ad una montagna di carte, di documenti e di ricordi meticolosamente ordinati e annotati dal comico romano negli ultimi anni della sua vita - questo uorno irrequieto e vulcanico, ribelle ad ogni disciplina e refrattario a qualsiasi regola, aveva la manìa delI'ordine e in fondo un'anima di collezionista - ho trovato un modesto taccuino dalla copertina di tela incerata, contenente i ritagli dei giornali e giornaletti che parlavano dr lui e delle sue macchiette agli inizi della sua carriera teatrale. ll libercolo è corredato di date, che vanno dalì'inverno del 1904 (appena un anno dopo il suo ingresso nel caffè-concerto e dopo le sue curiose esperienze nei teatrini dei paesi intorno a Roma e nei baracconi di Piazza Guglielmo Pepe) all'autunno del 1909. Sono cronachette spicciole, trafiletti sempre di poche righe, in cui si parla, nel tipico e iperbolico stile dei periodici del varietà, dei primi successi del "buffo Petrolini", "dell'eccentrico e buffo macchiettista", del quale si lodano i "duetti improvvisati" con una giovane canzonettista e "la serie inesauribile delle trovate" che, manco a dirlo, "fanno scompisciare il pubblico dalle risate". Uno dei ritagli ci fa sapere che "al Gambrinus di Roma impera il comico Petrolini"; un altro che "Petrolini è un macchiettista sobrio e bravo e squisitamente elegante"; mentre un terzo precisa che "egli sbalordisce con le sue piroette, i suoi sgambetti e i suoi salti quasi mortali", ed un quarto che "le macchiette del bravo Ettore piacciono ogni giorno di più, sopratutto quella del Malandrino". Successivamente, in un trafiletto d'un settimanale bolognese si legge: "Petrolini è anzitutto un comico originale e intelligente. Di alcune macchiette fa delle creazioni; e, poichè la sua voce è di timbro simpatico e la sua recitazione è naturale, piena di risorse amene, non è a dire come lo si ascolti volentieri".
Ma tutti questi riconoscimenti e attestati non vogliono ancora dire per Petrolini la notorietà, e tantomeno il benessere. Le scritture continuavano ad essere brevi, saltuarie, in locali di secondo e più spesso di terz'ordine, con paghe miserevoli e non sempre sicure. Un giorno gli fu proposto di raggiungere a Bordighera la compagnia di operette di Antonio Vernati: ruolo di primo buffo; paga cinque lire al giorno. Siccome da qualche settimana stava saltando regolarmente un pasto giornaliero, non si fece pregare e partì per Bordighera, dove, appena arrivato, debuttò nella parte del Podestà nelle Campane di Corneville di Planquette. Nella sala del minuscolo Teatro Ruffini non c'erano più di sei persone. "Dopo il primo atto, delle sei persone se ne andarono tre. Al finale del secondo atto misi I'occhio al buco del sipario e vidi con terrore che gli altri due spettatori infilavano anch'essi la porta d'uscita e I'ultimo rimasto che, rivolto agli altri, diceva: "- Signori, non mi lasciate solo: ho paura! - Ma che paura! - rispose uno dei due. - Ci vuole coraggio a stare a sentire questa roba !... "Riferii la scenetta a Vernati, il quale mi rispose: - A Bordighera non ci hanno capiti". La compagnia dovette sciogliersi e i componenti - Petrolini compreso - rimpatriati a mezzo della questura. Ma poche settimane dopo, il comico romano ripartiva alla volta di Genova, scritturato in un'altra compagnia di operette, quella d'un certo Gaetano Galassi: di terz'ordine anche questa. Arrivato a mezzanotte a Genova, Petrolini trovò alla stazione il Galassi con altri due della compagnia. Rimase di stucco quando apprese che il teatro in cui agiva la compagnia non era a Genova, ma a Sampierdarena. - E allora? - chiese Petrolini. - Allora, ci andremo a piedi. - rispose Galassi. - Ieri eravamo a Genova, ora siamo a Sampierdarena. Che ci trovi di straordinario? Ti spaventi per così poco? All'età tua io giravo tutta I'Italia a piedi... Petrolini ammutolì, si caricò la valigia sulle spalle e non fiatò più fino a Sampierdarena, dove l'indomani non prese parte allo spettacolo e il giorno successivo seppe che bisognava levar le tende, tanto il pubblico a teatro non ci veniva. Per fortuna era arrivato un contratto per Montecarlo. Un balzo al cuore per Petrolini: si passava la frontiera, si andava all'estero!... Il suo sogno! La compagnia si presentò al Teatro della Condamine con l'operetta La Marsigliese; un forno! Fu tenuto consiglio e deciso di mandare una commissione, composta del Galasi, della prima donna, del buffo e del direttore d'orchestra, al palazzo reale, per pregare S. A. il Principe di Monaco di assistere la sera dopo allo spettacolo. Si era sicuri che la presenza del Principe avrebbe portato in teatro molto pubblico; o almeno tanto per racimolare il denaro necessario a prendere il volo per altri lidi. La commissione fu ricevuta dal maggiordomo di palazzo, il quale non diede una risposta affermativa. Ma tutti confidavano in quell'intervento, e senz'altro fu indetta una prova straordinaria dello spettacolo, nel quale fu aggiunto un coretto di circostanza composto dal buffo della compagnia. Il coretto diceva: Ti salutiamo, terra d'incanto! Qui tutto è gioia, si scorda il pianto. Il Creatore steso ha il suo manto. Ti salutiamo, terra d'incanto! Bella costa azzurrina Innanzi a te il mondo s'inchìna!
La sera il coro fu cantato, ma il Principe non intervenne allo spettacolo. Si accontentò di inviare una somma a condizione che la compagnia I'indomani abbandonasse il principato. La mattina dopo il capocomico riunì la compagnia e distribuì il denaro in proporzioni adeguate alle paghe: a tutti meno che a Petrolini, perchè il buffo romano non aveva debuttato e dunque non faceva ancora parte della compagnia. Petrolini ebbe un bel far presente la critica situazione in cui veniva a trovarsi Galassi gli rispose: - Tu sei giovane; hai tanta strada davanti a te... Della strada, sempre della strada! E da farsi naturalmente quasi sempre a piedi!... Questa volta, però, non sapeva dove andare. Fece un po' di calcoli: era giovane, è vero, e aveva buone gambe; ma Roma era troppo distante, e non era proprio il caso, come aveva fatto altre volte, di mettersi in cammino. Perciò, si rivolse alla questura e ottenne d'essere nuovamente rimpatriato. Ricominciò la via crucis. Fu scritturato in un teatruccio di fuori Porta Salaria: - il teatro Bellini - dove agiva l'ex posteggiatore napoletano Severino Rosso. Nel contratto era detto: "Corrisponderò al detto Petrolini la paga di lire 4 al giorno, per far commercio dei suoi talenti...". Al Bellini rimase parecchi mesi, prima come buffo e duettista, in seguito col ruolo di Picchio nelle commedie col Pulcinella Tamberlani. Un giorno gli venne offerto un altro contratto, a lire 8 al giorno, dalla compagnia di Michele Bovio; ed egli I'accettò con entusiasmo, raggiungendo la compagnia ad Ovada, dove debuttò in una macchietta di vetturino nella commedia musicale I carbonari , che un autore del luogo aveva scritto espressamente per la compagnia Bovio. "Questo autore racconta Petrolini in Modestia a parte... - si chiamava Marconcini e non era un Adone. Tipo di cane bassotto, corpo sbilenco, testa a melonza, fremeva fra ìe quinte, mentre io cantaco tutto ispirato:
Son Tirella il vetturino / Sempre pronto su la piazza / Dalla sera alla mattina / Al servizio di chi passa / Con la sola compagnia / Della frusta e la cavalla / Mentre lei, la Gigia mia / Vorrebb'esser nella stalla.
Terminata la canzone, due o tre facinorosi - fataloni della piazza - gridarono: "Fuori, fuori I'autore!!!!"; e Marconcini - figuratevi! - se lo fece ripetere due volre: balzò fuori, con gli occhi di fuori, fuor di se stesso, e si piantò come un broccolo alla ribalta. Quanto a me, mi sentii accapponar la pelle e, prudente, mi ritirai fra le quinte. Lui invece rimase, ebete, al cospetto degli spettatori. E uno di essi s'alzò e gli gridò sul muso: "Ostia! è più brutto della canzone!"; ed un altro soggiunse: "Sì, ma è assai più beilo della commedia!". E la sala diventò una girandola di risate, battute, sarcasmi, sberleffi ed altre cose ancora che non vi posso dire. Tuttavia il pubblico si dimostrò molto educato, perchè non tirò neanche una sedia sul palcoscenico. Dalla compagnia Bovio il Nostro passò in un piccolo circo equestre, quello dei fratelli Belley, come pagliaccio e con funzioni d'inserviente; e qui si rivelò un ottimo saltatore: anche dei pasti. Poi, fece ritorno al caffè-concerto e per oltre un anno vagabondò per l'Italia, in locali di terzo e quart'ordine, dove eseguiva ie solite macchiette e qualche volta, si esibiva in duetti con questa o quella canzonettista. Guitteggiando sulle scene minori della provincia, Petrolini impara, in questo periodo, molte cose, conosce più da vicino il pubblico, i suoi gusti, la sua mentalità e si fa conoscere più intimamente da lui, conquistandone per gradi e senza eccessivi sforzi le simpatie. Sono i primi gradini sulla scala della notorietà: una scaia modesta, dello stesso legno delle tavole su cui ogni sera si esibisce. Ma ci si arrampica svelto e sicuro, deciso ad essere ad ogni costo qualcuno a distingurrsi dagli altri e ad uscire, non appena gli sarà possibile, dal macchiettismo stereotipato degli imitatori di Nicola Maldacea e di Peppino Villani: macchiettismo che sta volgendo al tramonto, sebbene ancora particolarmente caro a quella parte di pubbiico che cerca soltanto il qui pro quo, e non vuole ritratti caricaturali, ma abbozzi buffoneschi, luccichio d'oro falso e vivacità di colore, e non ombre o sfumature. Da quella ristretta cerchia Petrolini vuole uscire e buttare a mare, giorno per giorno, un po' del bagagìio di banalità che gli hanno procuraro i primi applausi. E per cominciare, impone agli impresari di abolire sotto il suo nome, nei manifesti e nei programmi, Ia generica definizione di "comico nel suo repertorio" di "comico macchiettista" con quella di "parodista » e di "comico grottesco". Gli pare che rispondano meglio al suo temperamento e alle sue intenzioni. Certo è che il suo genere incontra il favore di quelie platee, diverte, fa ridere, ed egli in breve si sente proclamare - con quelle iperboli di cui si abusa nel teatro di varietà - "il re della risata". Il pubblico non s'accorge ancora, mentre lo eleva ai fastigi regali, che Petrolini rappresenta invece l'anarchia del caffè-concerto. Il balzo dai caffè-concerto di terz'ordine ai teatri di varietà di maggiore importanza - il Morisetti di Milano, I'Alhambra e le Folies Bergères di Firenze, l'Eden di Bologna, I'Alcazar di Genova, il Romano di Torino, il Politeama di Livorno, il Galileo di Pisa - non si fa attendere. Oramai Petrolini ha preso la corsa sulla strada del successo e della fama, e non lo fermerà più nessuno. La galleria delle sue maschere s'arricchisce. In molti teatri egli eseguisce, a volte, anche duetti con Olimpia d'Avignone, Eugenia Fougères, Yvonne de Fleuriel, Anna Fougez, Pina Brillante, Maria Campi, Anita Di Landa. Con Maria Campi Petrolini si cimentò per la prima volta in un bozzetto drammatico, Il Medaglione. - Senti, Maria, - disse un giorno alla popolarissima canzonettista romana - se riusciamo a far ridere, dovremmo anche far piangere... Vuoi che proviamo? Provarono e riportarono, nel Medaglione, un successo enorme: dimostrazione che fin da allora Petrolini, artista buffissimo e ridanciano, adocchiava quel genere che più tardi sembrò una stramba singolarità per un comico di quello stampo. Con Anita Di Landa la collaborazione avvenne in modo abbastanza curioso. Erano scritturati entrambi nello stesso caffè-concerto di Genova e, secondo I'uso, Anita Di Landa, per quanto già "diva", avrebbe dovuto cedere a Petrolini, in quanto comico, il diritto di chiudere lo spettacolo. Diritti gerarchici del mondo del varietà! Inutilmente I'artista romano chiese, con la maggiore cortesia, alla canzonettista di eseguire il suo numero prima di lui. Quella, sera e sicura di sè, lo squadrò per un attimo con non ceIata commiserazione e poi gli rispose: - Siete matto, per caso! Petrolini non ribattè; ma un istante dopo mormorò ad un certo Billi che gli faceva da segretario: - Lasciala fare! Esco prima io, e... staremo a vedere quando potrà uscire lei!... Cominciò il numero. La diva, impennacchiata e ingioiellata, aspettava dietro le quinte la fine delle tre macchiette d'obbligo del compagno, per uscire alla ribalta, gloriosa e trionfante. Frattanto frullava lievemente le mani in alto per farle più esangui, spirituali. Quell'alterigia, quelÌa disistima palese centuplicò le possibilità artistiche di Petrolini. Racconta nel volume postumo ll mìo pubblico (Ceschina editore, Milano, 1937): "Io la vedevo fra le quinte che frullava le mani, ansiosa di uscire, convinta che il pubblico non mi avrebbe richiesto nessun bis; e invece quella sera le mie macchiette, le mie parodie si succedevano l'una all'altra. II successo, superiore ad ogni aspetrativa, mi obbligò a concedere innumerevoli bis... e la diva frullava sempre, pallida, disfatta e livida di rabbia. Ad ogni passaggio davanti a lei, per cambiare d'abito e di truccatura, la salutavo con ironica umiltà. Alla nona macchietta mi rivolsi a Billi e, accennandogli la diva che, disperata, aveva ridotto le sue mani esangui come morte, gli dissi: - Sai quando la pianto? Quando il sangue le arriverà alle calcagne!... - Era circa I'una, e perciò già sorpassato l'orario prescritto dalle autorità per il termine dello spettacolo. Così, il direttore attaccò il galop finale, Ia sala si sfollò, mentre dietro le quinte la diva ancora frullava... frullava, questa volta non più le mani, ma uno sguardo carico d'odio. Non posso dire quello che uscì al mio indirizzo da quella bocca vezzosa. Mi era andata così bene, che non ebbi voglia nè tempo di offendermi. Mi vestii in fretta e me ne andai in punta di piedi come uno che sa di averla fatta grossa. Dissi a Billi: Lasciala sfogare. Non aprir bocca". Ma poi, come sempre accade quando si ha da fare con una bella donna, i due artisti divennero ottimi amici e per la serata d'onore di Anita Di Landa, qualche sera dopo, i manifesti annunciarono, a grossi caratteri
Questa sera
DI LANDA - PETROLINI
duetti comici.
Mario Corsi