Proprio così: di Andreina Pagnani, l'eletta fra le attrici italiane, non si può dire altro, amabilmente sorridendo, in questa Stagione Teatrale, che donna di spirito. Di arte non si può parlare avendo ella accettato con la eccentricità delle attrici americane anche celeberrime, che in queste cose ci mettono malizia e bravura insieme, di far parte di una compagnia che praticamente è di rivista anche se rappresenta una commedia musicale, che però di tal genere ha preso in prestito soltanto la qualifica, non essendo certo né “Il cappello di paglia di Firenze” né tampoco “The Matchmaker” cioè “Colei che combina matrimoni” che per caso è stata recitata contemporaneamente per la prima volta a Torino, al Carignano, dalla Adani-Cimara, mentre all'Alfieri si replicava da qualche sera “La padrona di Raggio di luna”. Andreina Pagnani, è evidente e risaputo, ha accettato di recitare “La padrona di Raggio di luna” per ripicca e disappunto giustificatissimo - mettendosi cosi sul piano polemico apertamente -visto che da due anni né ufficialmente né privatamente le si dava la possibilità di essere presente sulla scena, al posto che le spetta e che merita. Il che vuol dire per la Pagnani esercitare un’arte per la quale la sua bravura, la sua esperienza e la sua personalità l’hanno portata al primo posto. Ventiquattro anni di carriera, un nome illustre e - ripetiamo - una personalità forse la più spiccata del teatro italiano di prosa, non possono essere messi da parte senza mortificazione. Occorreva un gesto clamoroso ed Andreina l'ha fatto con disinvoltura, con garbo squisito, con l’evidente intenzione di far dire ciò che, infatti, stiamo dicendo. E, superfluo aggiungere, dato il genere, che dove era possibile nel garbuglio della commedia musicale (che doveva anche essere rivista senza parere), Andreina ha dato una lezione di stile. Ma non possiamo dimenticare la sera dell'esordio quando è apparsa alla ribalta priva di passerella per fortuna (e per pudore) davanti ad un pubblico splendido che ha immediatamente sottolineato con un applauso interminabile e trascinante, come dicono i cronisti, di aver capito. Ora è augurabile che capiscano anche gli altri.