Teatro Bellini Teatro Stabile di Napoli presenta:
Amleto (1997)
Di William Shakespeare
- Interpreti principali: Tato Russo, Sandra Milo, Claudio Angelini, Claudio Bufi Landi, Maria Pia Calzone, Massimo De Matteo
- Traduzione e rielaborazione: Tato Russo - Zeno Craig
- Musiche: Patrizio Marrone
- Scene: Russo - Di Ronza
- Costumi: Giusi Giustino
- Regia: Tato Russo
Programma di sala (pagine 68)
- Shakespeare: la vita e le opere
- Una prestigiosa consapevolezza (A. Lombardo)
- Da "Manualetto" (G. Baldini)
- Da "Dialettica del teatro" (E. Bruno)
- L'Amleto (T. Russo)
- Nota per una traduzione (Z. Craig)
- Fotografie di F. Donato - T. Le Pera
L'Amleto
Non c’è artista di teatro che non abbia pensato almeno una volta di rappresentare la storia di Amleto. Da anni inseguivo l’idea di avventurarmi nei mille luoghi di questa “tragedia impossibile” toccata al melanconico, ipocondriaco, dubbioso o pazzo principe danese, il mille-volte Amleto. Amleto è certamente la Tragedia dell’Impossibilità della Tragedia. La tragedia greca che non consente introspezioni psicologiche, disegni di caratteri, piatta nella sua acutezza, nel suo rappresentare categorie e principi assoluti, qui si trasforma nel dramma delle digressioni poetiche. La sospensione del tempo, da me dilatato a dismisura, serve a dar spazio alle mille occasioni di far Poesia. Amleto è il teatro. È l’ultima spiaggia o il deserto della Poesia. Ho immaginato per questo i mille palcoscenici per le mille occasioni di poetare. Ho evitato per questo il frettoloso e casuale succedersi delle azioni per raddoppiare le distanze delle logiche del romanzo popolare e d’avventura dalla esigenza di mostrare un’antologia del pensiero poetico dall’aspetto più alto e meditativo. Amleto è più che un dramma il commento a un dramma da scrivere: più che una tragedia è una “sorta di enciclopedia dell’umore barocco”. Una tragedia lunga una vita, da una giovinezza a una ancor più dubitosa senescenza: una vita consumata a riflettere sulle sorti dell’uomo, a chiedere risposte a una cultura troppo invasiva e troppo manichea. Amleto-bambino, Amleto-studente, Amleto-poeta, Amleto-Oblomov, Amleto-vecchio, Amleto-fool. Amleto e i suoi sogni, i suoi incubi, i suoi mille fantasmi, sullo sfondo di una grande notte dell’Umanità del nostro come di quel secolo nuovo che si preparava. Questo principe così meditabondo, così usurpato d’un padre, d’una madre, come d’una corona, così raccolto dentro di sé e incapace di far sue le smanie del potere, così bambino e così vecchio ben può rappresentare la crisi di un’epoca come la nostra, anch’essa età della percezione dello svuotamento di un modello del mondo incapace di assumere certezze, conoscenze e valori, così disposto a dubitare d’ogni assoluto e quindi così incapace di sentire e predisporre una tragedia. E così il suo dramma può ben corrispondere a una rappresentazione dell’uomo d’oggi, che chiede risposta ad ogni cosa, che è incapace di verità e atti assoluti, alla tragedia di un uomo “messo a soqquadro”, in disordine dai tempi in cui vive; e un po’ anche al fallimento dell’uomo moderno che dubitando di tutto non sa ricondursi ad azioni e valori risolutivi. Amleto è una tragedia unica nel suo genere. Una tragedia non di pensiero, ma Del Pensiero, ispirata a una persistente non mai paga meditazione intorno alle sorti umane e al tetro scompiglio degli eventi terreni e destinata a suscitare di riflesso negli spettatori, un’identica specie di meditazione. Ogni spettatore infatti intuisce d’essere di fronte a uno di quei grandi Miti poetici, offerti dalla poesia alla nostra perpetua brama di conoscere le ragioni, il significato e il fine ultimo della vita umana. Un’opera “sgangherata”, così come qualcuno la definì, che ho tentato di sgangherare ancora di più, scombinandone la sequenza degli avvenimenti perché ne risultasse con più evidenza la straripante frenetica voglia di poesia, la bramosia di riflessioni che la pervade. Per questo mille sipari si apriranno sui mille mondi dei personaggi, su quest’ultimi rottami di teatro che la nostra epoca ci consente.
TATO RUSSO