La Compagnia Glauco Mauri - Roberto Sturno presenta:
La dodicesima notte (1985)
Di William Shakespeare
- Interpreti principali: Glauco Mauri, Roberto Sturno, Pamela Villoresi, Leda Negroni, Vittorio Franceschi, Mino Bellei
- Traduzione: Luigi Lunari
- Musiche: Arturo Annecchino
- Scene e Costumi: Hayden Griffin
- Regia: Marco Sciacqualuga
Programma di sala (pagine 16)
- Il Teatro Comunale di Treviso e Glauco Mauri
- Una scena per Shakespeare (Hayden Griffin)
- Vita di Shakespeare (M. Cavalli)
- Tradurre Shakespeare (Luigi Lunari)
- Fotografie di Tommaso Le Pera
Tradurre Shakespeare
Mi hanno chiesto un giorno. durante un dibattito sul tema quali erano i problemi del tradurre Shakespeare. Ho risposto - con buon successo di pubblico - che non c'era nessun problema: era soltanto difficile. Di questo parere rimango anche oggi, dopo la “difficile” impresa di tradurre “La dodicesima notte” convinto anzi che sia meno problematico rendere Shakespeare in italiano (così come in tedesco o in francese) che non fruirlo in originale. Il traduttore può contare su un certo margine di discrezionalità, conscio che la traduzione è pur sempre un'approssimazione, e che dunque ogni parola, ogni battuta comporta tutta una serie di soluzioni sostanzialmente equivalenti tra le quali il traduttore può giostrare: scartando la parola desueta e incomprensibile riducendo il costrutto faticoso, sostituendo il gioco di parole (quei maledetti giochi di parole che le traduzioni libresche rendono con spastiche acrobazie) con altro più facile e immediato. Certamente, il filologo ha le sue obbiezioni: se da un monologo comico io sopprimo - alla terza riga - un gioco di parole intraducibile, e ne invento uno alla riga settima, dove invece calza a pennello. il filologo mi accusa: di “due” infedeltà. In realtà - si difende il traduttore teatrale - l'una infedeltà elide l'altra: io ho rispettato l'equilibrio e l'ingrediente comico del monologo, ho restituito qui quello che avevo tolto là, seguendo il criterio della comprensibilità immediata, della pertinenza e della spontaneità espressiva. È una diversa filologia che tiene conto delle peculiarità dello spettacolo, che sono diverse da quelle del testo scritto; fermo nella sua datata storicità, mentre lo spettacolo è sempre un evento del qui e dell'adesso. Le scelte hanno un margine di arbitrarietà, ma non così ampio come può sembrare: esse devono essere pur sempre verificate alla luce dell'aut-aut: “funziona o non funziona?”. Del resto, la traduzione è un inevitabile arbitrio e tradurre vuoi dire assumersene la responsabilità: vuoi dire - essenzialmente - orientarsi ad ogni passo tra le diverse esigenze dello spirito e della lettera, arrogarsi la certezza di aver ben chiari l'uno e l'altra, e garantire - per ogni soluzione adottata - che l'Autore, se potesse parlare, sarebbe perfettamente d'accordo. Un luogo comune che va infine sfatato è il ripetutissimo detto che la traduzione sia come la donna: bella e infedele o brutta e fedele. Doppiamente falso (e cioè sia per le traduzioni che per le donne), esso esprime a voler ben guardare il dissidio e l'antinomia fra filologia testuale e filologia dello spettacolo. Diciamo dunque che la bellezza è essenziale, che la fedeltà allo spirito può comportare un 'infedeltà alla lettera e che la bruttezza (in tutte le sue manifestazioni. desuetudine e faticosità comprese) è il solo peccato mortale da evitare ad ogni costo. La lingua italiana (e questa è una delle conclusioni a cui approdo sempre dopo una traduzione “difficile”) è del resto una lingua splendida. forse la più bella e ricca tra le lingue della nostra tradizione culturale: per la sua continuità ab antiquo, per la pregnanza del suo lessico, per gli echi storici e letterari che risuonano in ogni parola, in ogni costrutto. In ultima analisi. si potrebbe anche affermare che il solo problema del tradurre Slrakespeare (o Molière, o Cechov, o Goethe) è quello di una adeguata conoscenza della lingua italiana. Essa contiene in sé e nella sua storia quanto basta per tradurre anche “La dodicesima notte” in bellezza e fedeltà, nel rispetto di ogni filologia dello spettacolo e in ossequio all'idea registica su cui lo spettacolo si fonda.
LUIGI LUNARI