Carlo Alberto Cappelli presenta:
La fiaccola sotto il moggio (1957)
Tragedia in 2 tempi e 4 atti di Gabriele D'Annunzio
- Interpreti: Romolo Valli, Rossella Falk, Giorgio De Lulllo, Annamaria Guarnieri, Elsa Albani, Italia Marchesini, Nino Marchesini, Umberto Orsini, Niky de Fernex, Gabriella Gabrielli, Corrado Nardi
- Scene e Costumi: Pier Luigi Pizzi
- Direzione artistica: Giorgio De Lullo - Romolo Valli
- Regia: Giorgio De Lullo
Programma di sala (pagine 32)
- La stagione della Compagnia
- Gabriele D'Annunzio
- Una recensione di Renato Simoni del 1927
- Una recensione su questo spettacolo (Francesco Bernardelli)
La recensione dello spettacolo
La Compagnia De Lullo –Falk– Guarnieri - Valli ha dato iersera al Carignano una bella rappresentazione della “Fiaccola sotto il moggio” di Gabriele d'Annunzio. La Fiaccola, derivata dalla tragedia greca, è in realtà opera commista, variegata, con un che di barocco e di decadente; sul colore paesano, di un falso realismo preziosistico, spiccano caratteri e vicende atroci. Giorgio De Lullo, regista, e gli ottimi attori hanno semplificato la tragedia con felice ispirazione e bravura, l'hanno portata ad una chiarezza e perspicuità, ad un essenziale e puro nitore, che ha sorpreso e commosso tutti quanti. Su di uno scenario simbolico e nudo, in un'aura particolarmente ansiosa, vibrante di suoni vaganti, le figure spiccarono nette, statuarie, con una sobrietà di gesto, di atteggiamento che di per sé sola sottolineava il raffinato impegno dello spettacolo. Piano, lieve il discorso; mai forzature di linguaggio, di accento; più che il ritmo delle meravigliose sonorità, dello stile esterno, e verbale, proprio del D'Annunzio, gli attori seguirono un ritmo interiore di elegia e di dramma. Furono perciò subito palesi il disegno e la musica di questa poesia, di quello che v'è di poetico ancora nella incerta tragedia dannunziana; in quella sostenuta affabilità, nella lucentezza chiarificatrice della dizione sorgevano le immagini, respirava un'arcana tenerezza, il particolare ingioiellato, affettuoso o decorativo, prendeva un terso e più limpido rilievo. E la tela delle malinconie segrete, dell'angoscia diurna e notturna, del disfacimento della grande razza antica dei Sangro, era tessuta su note agili e ferme, sostenute e lunghe, con dolcissima eco. Una rappresentazione dunque che senza puntare sulla retorica del “verbo”, della parola magica, dell'estetismo, anzi, giocando di sfumature e di “ingenuità”, rilevò l'intima grazia di un'opera che pur segna così pesantemente una data della nostra letteratura. Vada dunque a questi giovani, volonterosissimi, intelligenti artisti una lode schietta. Con queste prove essi non solo testimoniano una raggiunta maturità, un'eccellenza rara, ma un amore dell'arte che ci consola ... Il successo fu schietto e vibrante; alla fine dello spettacolo attori e regista furono evocati alla ribalta nove o dieci volte fra scroscianti applausi.
FRANCESCO BERNARDELLI