Teatro Stabile della Città di Roma presenta al Teatro Centrale:
L'Arbitro (1965)
Commedia in tre atti di Gennaro Pistilli
- Interpreti: Renzo Giovampietro, Luigi Proietti, Armando Bandini, Corrado Annicelli, Lea Padovani, Carmen Scarpitta
- Musiche: Robrto De Simone
- Scene: Nicola Rubetelli
- Regia: Gennaro Magliulo
Programma di sala (pagine 28)
- Introduzione (Vito Pandolfi)
- Gennaro Pistilli
- La nuova camorra 8Crescenzo Guarino)
- Dalle "Note di regia" (Gennaro Magliulo)
- Il Cast
Gennaro Pistilli è nato a Napoli nel 1920 ma da qualche anno trascorre lunghi periodi di lavoro e di studio a Londra. Si è dedicato assai presto alla composizione drammatica e nel 1950 ha vinto con la commedia “Nettuno” il Premio Riccione. Un'altra sua commedia, “Le donne dell'uomo”, è stata rappresentata nel 1954 al Piccolo Teatro di Roma. “L'arbitro” è stato allestito nel 1961 dal Teatro Stabile di Genova, con lo regia di Paolo Giuranna. La sua ultima opera è “Capo Finisterre”, recentemente trasmessa dal Terzo Programma della RAI. “L'arbitro” venne pubblicato nella Collezione di Teatro dell'editore Einaudi.
INTRODUZIONE
Da più di trent'anni, cioè da Pirandello in poi, si sta verificando nella attività teatrale italiana un pericolosissimo fenomeno d'involuzione. Sta progressivamente sparendo dalle scene l'autore italiano. Il processo ha avuto inizio sin da quando nelle menti dei nostri capo-comici e impresari (e purtroppo proprio in quell'animo per tanti versi eletto che fu Gustavo Modena) si fece strada la ferma convinzione che un lavoro straniero gia collaudato offrisse più sicure garanzie di incasso di una novità italiana. Ad essa contribuirono naturalmente anche il provincialismo della nostra cultura e del nostro pubblico. Si formò un circolo vizioso. Riservando agli autori italiani il fanalino di coda, logicamente se ne dispersero le qualità e il fervore. I migliori ingegni si dedicarono ad altre attività. Gli scrittori temettero di perdere tempo e di accumulare amarezze scrivendo per il palcoscenico. Non si parli di crisi, non si parli di difficoltà obiettive che impediscano all'autore italiano di esprimersi in modo scenicamente funzionale (la lingua, le tradizioni etc.). Il teatro non ha mai avuto vita facile. E' scomparso nella nostra civiltà, da Terenzio in poi, per quasi millecinquecento anni. Ad Atene la meravigliosa fioritura del V secolo a.C. non vi si è mai ripetuta, anzi è stata seguita da millenari silenzi. l nostri autori fra Giordano Bruno e Goldoni, hanno praticamente taciuto per un secolo e mezzo. Larghi vuoti si verificarono anche nell' ottocento. Il teatro si fa quando e dove si può. Il secolo XX ha già dato come autori italiani, Pirandello e Betti, Viviani e De Filippo, ben più di quello XVI. Ma non per questo ci si deve abbandonare alle parabole storiche. Se la situazione è obiettivamente peggiorata, occorre muovere uomini e cose affinché arrestino il processo, tutt'altro che irreversibile. In questi anni stiamo assistendo a un rilancio su grande scala del narratore italiano. Si toccano tirature mai raggiunge in passato, si formano miti (ed essi sono necessari), si ricrea una circolazione, un rapporto diretto tra pubblico e narratore, che fa cadere i trascorsi peccati di astrattismo e formalismo, eredità delle nostre infinite arcadie. Quale romanzo straniero in questi anni ha avuto in Italia tirature paragonabili a quelle de «Il Gattopardo» e de «Il giardino dei Finzi-Contini»? Lo stesso succede per gli incassi dei fìlms italiani, di cui l'industria resiste e si afferma, nonostante comporti rischi di ogni genere. L'Italia sta dunque superando lo stato di inferiorità culturale che, per secoli l'aveva afflitta. Perché non dovrebbe superarlo anche nel campo degli autori drammatici? Effettivamente la pianticella dell'autore drammatico stenta ben più a crescere di quella del narratore o del regista cinematografico. Non è aiutata dall'industria (oggi, quella editoriale aiuta decisamente i narratori) e tuttavia dipende da una serie di fattori condizionanti: pubblico, attori, strutture organizzative. Ha tutti gli svantaggi di essere pubblica, e ben pochi vantaggi. Tuttavia, ponendo il problema come centrale nella attività drammatica del nostro Paese, facendosene la preoccupazione maggiore, moltiplicando gli sforzi, anch'essa può crescere come nei tempi migliori, favorita dalla libertà e dall'elevazione culturale in atto. A nostro parere bisognerebbe partire dal principio che solo la quantità genera la qualità. Cioè mettendo molta carne al fuoco, senza fare con i copioni come Bertoldo soleva fare con gli alberi a cui doveva impiccarsi, si formerà una selezione e i veri autori spunteranno. A priori, cioè prima che un testo sia inscenato, è pressocché impossibile giudicarne la portata artistica. Troppi errori sono stati compiuti su questa strada. Si può solo constatarne la dignità del linguaggio e degli assunti. Quindi occorre che molte opere siano rappresentate, che gli autori, dalle prime opere fatalmente incerte (perfino in Shakespeare e Molière) possano maturarsi e svilupparsi a continuo contatto con la scena: il solo contatto che sia assolutamente necessario al sorgere di un' opera d'arte drammatica. Rimettendo in circolazione l'autore italiano, lo si riporterebbe alla popolarità e alla commercialità, come oggi si è fatto con i narratori. Materia prima, cioè copioni degni di essere portati sulla scena, ce n'è, e molta, e più ce ne sarebbe se tanti non si fossero scoraggiati. Appare essenziale fondamento la chiarezza delle idee, dell'altra parte della barricata: dirigenti dei teatri, registi, attori, Quindi il pubblico stesso.
VITO PANDOLFI