FASCINO ET presenta:
l'Onorevole il Poeta e la Signora (1994)
Di Aldo De Benedetti
- Interpreti: Andrea Giordana, Ivana Monti, Giampiero Bianchi
- Musiche: Germano Mazzocchetti
- Scene e Costumi: Nicola Rubetelli
- Regia: Antonio Calenda
Programma di sala (pagine 24)
- Prefazione (Maurizio Costanzo)
- Non sempre, ma molto spesso ...
- Aldo De Benedetti da "Enciclopedia dello spettacolo"
- Le Produzioni della FASCINO E.T.
- Fotografie di Tommaso Le Pera
Non sempre, ma molto spesso ...
Non sempre, ma molto spesso, il miglior giudice di un artista è l'artista stesso. Nel caso di Aldo De Benedetti, ad esempio, siamo di fronte a una di queste felici concomitanze. Scrive infatti il commediografo, della propria idea di teatro: “Il pubblico ha comunque ragione (...) Se a volte pronunzia condanne che sembrano ingiuste verso lavori di indiscutibile pregio, vuoi dire che a quei lavori mancava, per la loro compiuta perfezione, l'elemento necessario e indispensabile della teatralità (...) Molti mi consigliano di scrivere qualche cosa di più importante. Non sono mai riuscito a capire il significato di questo consiglio. Per me ciò che scrivo è importantissimo anche se i miei personaggi sono mossi da fragilissimi fili. Se quei fili divenissero più forti e tenaci avrei l'impressione che si fossero mutati in catene”.
Che altro aggiungere? De Benedetti, l'autore dei salotti e delle schermaglie sentimental-mondane, il medico anatomista di tante liaisons sul filo dell'illegalità, o direttamente illegali (ma con senso di colpa) aveva ben chiara in mente la propria voglia e la propria misura: un mondo fittizio eppure vero in cui riprodurre, per il divertimento schietto ed elegante di spettatori beneducati, l'interagire di coppia, con tutti i corollari del caso. Ecco allora commedie la cui costruzione impeccabile assicura loro quella teatralità (intesa come scorrevolezza e disinvoltura) che tanto stava a cuore al drammaturgo. Ecco i qui pro quo d'ascendenza francese, il gioco delle situazioni assurde che sa e può scivolare verso l'Assurdo, la piacevolezza di ambienti non miseri, apparentemente non oppressi, capaci di costruire sul loro sembrare, più che sull'essere, una sicura consistenza. De Benedetti rappresentabilissimo, gradito a tutti i tipi di pubblico e a tutte le latitudini. Tanto che la più celebre in assoluto delle sue pièces Due dozzine di rose scarlatte, rappresentata, dal 1936 in avanti, in ogni parte del mondo, continua a riscuotere credito e calore. Dietro la vicenda frivola di un adulterio solo minacciato, e andato in fumo per la specchiata fedeltà della femmina contesa, c'è infatti l'occhio di uno scrittore più attento e dedito di quanto sembri. De Benedetti si maschera da vagheggino esperto, ma davvero non rinuncia alle malinconie sottili, ai piccoli strali affilati che penetrano nelle carni della gaudente borghesia italiana, alle battute umoristiche iniettate di dubbi. Ebbene, il testo estremo di questo commediografo particolarissimo, Paola e i leoni, ribattezzato L'Onorevole, il Poeta e la Signora in occasione della nostra messinscena per l'interpretazione della coppia Monti-Giordana, possiede anch'esso il perlage delle Rose scarlatte, ma vi aggiunge notazioni di carattere contemporaneo delle quali il teatro d'oggi è obbligatoriamente ghiotto. Sono, per intenderei, i salotti dell'Italia che si avviava al boom, farciti di uomini di mezzo potere, aureolati di democrazia cristiana malintesa dietro la quale allignano, volentierissimo, girotondi di relazioni illegittime, smerci di talento vero e presunto, ambizioni e, perché no, sogni da realizzare. Anni cinquanta? Forse. Un triangolo, il solito. È vero. Ma qui l'alternanza di verità e fantasia, la possibilità di “comprendere” la realtà attraverso l'esercizio dei sensi, la piacevolezza di fare e disfare, di provare e poi scegliere (e si tratta di persone, non di vestiti, cibi o bevande) diventa specchio di una società a noi ancora molto vicina. Anche il discorso sul camaleontismo (che De Benedetti voglia alludere, sapendolo e non, a un pirandellismo maliziosamente inteso ma non per questo meno incisivo sul gioco dell'identità?) s'inserisce nello scambio sociale, nel dialogo privato, che, guarda caso, rischia di diventare il male dei nostri giorni, inficiando la ricerca del nuovo attualmente di moda persino nelle alcove. E la Signora del titolo, divisa fra le certezze fragili del Potere e le solide inconsistenze del Talento, si trasforma in emblema della funzione catalizzatrice e catartica della femme in periodo di Caos istituzionale. Torna alla mente, inevitabilmente, il discorso sulla teatralità che De Benedetti illustra nell’autodefinizione proposta all'inizio di questo discorso. Ci si rende conto una volta di più di cosa significhi; di come e perché importasse all'autore in modo prioritario, per comunicare certe atmosfere e certe figure. Quasi più della statura intrinseca del dramma. Il risultato di quella scelta sta lì davanti ai nostri occhi, nel godimento leggero ma non univoco che la platea ricava, inesorabilmente, da ciò che avviene in palcoscenico.