Arena di Verona presenta
Pagliacci (1960)
Parole e musica di Ruggero Leoncavallo
- Interpreti: Franco Corelli (Canio) Clara Petrella (Nedda) Ettore Bastianini (Tonio) Piero De Palma (Peppe) Renato Capecchi (Silvio)
- Maestro Concertatore: Oliviero De Fabritiis
- Regia: Carlo Piccinato
- Maestro del coro: Giulio Bertola
- Scene e Costumi: Orlando Di Collalto
Link Wikipedia
- 1. Corelli 2. Petrella 3. Bastianini 4. De Fabritiis 5. Piccinato
Programma di sala (pagine 124)
- L'opera verista più vera (Carlo Bologna)
- Introduzione
- Il libretto
- Gli interperti
- Gli spettacoli in scena
- Le stagioni dal 1913 al 1959
- Fotografie
INTRODUZIONE
Anche in questo dramma lirico di Ruggero Leoncavallo - che è pure l'autore del libretto - come già in “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, è riecheggiata una storia d'amore, di gelosia, di vendetta e di sangue. L'ambiente, questa volta, è quello di Calabria che, per impetuosità di sentimenti della sua gente e per caratteristica coloritura di luoghi e costumi, ha moltissime affinità con quello di Sicilia. Il libretto precisa che il dramma si svolge in un paesetto presso Montalto Calabro, il giorno della festa di Mezzagosto (l'Assunzione di Maria), in un anno fra il 1865 e il 1870, e il dramma stesso ha quali protagonisti i membri di una piccola carovana di commedianti che gira i paesi recitando a soggetto, nei costumi delle maschere tradizionali o paesane. Al vertice del consueto triangolo della infedeltà è Nedda, la giovane moglie di Canio. Questi, capocomico della zingaresca compagnia teatrale, ama la giovane moglie e n'è gelosissimo. Ma verso Nedda s'appunta il desiderio bestialmente esasperato di Tonio, lo sciancato, zimbello d'ognuno sia nella vita che sulla scena. Nedda lo respinge e lo schernisce, ma i suoi favori li riserva invece a Silvio, giovane campagnolo del luogo. Ed ormai insofferente del marito, violento e geloso, giunge – in un incontro con l'amante - a progettare la fuga. Ma i due sono sorpresi da Tonio che va ad informare il padrone, e questi, accorso furibondo, non fa a tempo a riconoscere il rivale, scomparso nel bosco. Né riesce, Canio, ad ottenere che la sua donna confessi il nome del ganzo sul quale è deciso di trarre vendetta. Incalza però il momento di andare in scena com l'annunciata commedia “Il Pagliaccio”, e questa recita, nel canovaccio teatrale, non fa che ripetere, con i costumi di Colombina e Pierrot, Arlecchino e Taddeo, la vicenda dianzi svoltasi. Solo che, sulla scena, la vicenda stessa recitata all'inizio in chiave di buffonesco scherzo, ben presto si trasforma in dramma. vissuto, e in tragica sanguinosa conclusione. Questo trasferire le reali tristi passioni, le ire e le atroci vendette degli uomini nelle finzioni della commedia, e connestarle a questa con drammatica e immediata evidenza, è caratteristica avvincente del dramma, al quale Leoncavallo ha dato meravigliosi spunti lirici perfettamente interpretativi di anime ed avvenimenti; ed è anche il tema del famoso prologo con cui l'opera si inizia. In esso, infatti, l'Autore fa dire al suo personaggio che non è vero che le lagrime versate dai commedianti siano sempre false. L'artista è un uomo, ed anche egli ha la sua commedia reale. Lo si vedrà quindi amare come s'amano gli esseri umani, odiare, spasimare di dolore, urlare di rabbia, cinicamente godere pel sangue fatto versare. Dunque non le gabbane da istrioni siano considerate dagli spettatori, ma le anime di coloro che le vestono: uomini di carne ed ossa, cuore e passioni come ogni altro uomo al mondo.
Anche in questo dramma lirico di Ruggero Leoncavallo - che è pure l'autore del libretto - come già in “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, è riecheggiata una storia d'amore, di gelosia, di vendetta e di sangue. L'ambiente, questa volta, è quello di Calabria che, per impetuosità di sentimenti della sua gente e per caratteristica coloritura di luoghi e costumi, ha moltissime affinità con quello di Sicilia. Il libretto precisa che il dramma si svolge in un paesetto presso Montalto Calabro, il giorno della festa di Mezzagosto (l'Assunzione di Maria), in un anno fra il 1865 e il 1870, e il dramma stesso ha quali protagonisti i membri di una piccola carovana di commedianti che gira i paesi recitando a soggetto, nei costumi delle maschere tradizionali o paesane. Al vertice del consueto triangolo della infedeltà è Nedda, la giovane moglie di Canio. Questi, capocomico della zingaresca compagnia teatrale, ama la giovane moglie e n'è gelosissimo. Ma verso Nedda s'appunta il desiderio bestialmente esasperato di Tonio, lo sciancato, zimbello d'ognuno sia nella vita che sulla scena. Nedda lo respinge e lo schernisce, ma i suoi favori li riserva invece a Silvio, giovane campagnolo del luogo. Ed ormai insofferente del marito, violento e geloso, giunge – in un incontro con l'amante - a progettare la fuga. Ma i due sono sorpresi da Tonio che va ad informare il padrone, e questi, accorso furibondo, non fa a tempo a riconoscere il rivale, scomparso nel bosco. Né riesce, Canio, ad ottenere che la sua donna confessi il nome del ganzo sul quale è deciso di trarre vendetta. Incalza però il momento di andare in scena com l'annunciata commedia “Il Pagliaccio”, e questa recita, nel canovaccio teatrale, non fa che ripetere, con i costumi di Colombina e Pierrot, Arlecchino e Taddeo, la vicenda dianzi svoltasi. Solo che, sulla scena, la vicenda stessa recitata all'inizio in chiave di buffonesco scherzo, ben presto si trasforma in dramma. vissuto, e in tragica sanguinosa conclusione. Questo trasferire le reali tristi passioni, le ire e le atroci vendette degli uomini nelle finzioni della commedia, e connestarle a questa con drammatica e immediata evidenza, è caratteristica avvincente del dramma, al quale Leoncavallo ha dato meravigliosi spunti lirici perfettamente interpretativi di anime ed avvenimenti; ed è anche il tema del famoso prologo con cui l'opera si inizia. In esso, infatti, l'Autore fa dire al suo personaggio che non è vero che le lagrime versate dai commedianti siano sempre false. L'artista è un uomo, ed anche egli ha la sua commedia reale. Lo si vedrà quindi amare come s'amano gli esseri umani, odiare, spasimare di dolore, urlare di rabbia, cinicamente godere pel sangue fatto versare. Dunque non le gabbane da istrioni siano considerate dagli spettatori, ma le anime di coloro che le vestono: uomini di carne ed ossa, cuore e passioni come ogni altro uomo al mondo.
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