Teatro Massimo di Palermo presenta al Politeama Garibaldi:
Il castello del principe Barbablù (1996)
Opera in un atto di Béla Balàzs. Musica di Béla Bartòk
Interpreti: Doris Soffel (Judit) Dean Peterson (Barbablù) - Orchestra del Teatro Massimo
- Maestro Concertatore: Yoram David
- Regia: Franco Ripa di Meana
- Maestro del coro: Fulvio Fogliazza
- Scene e costumi: Francesco Zito
- Direttore allestimento: Antonio Carollo
- Bartòk - Bozzetto della scena e del costume di Judit realizzati da Zito
Programma si sala (pagine 128)
- Il castello di Barbablù (P. E. Carapezza)
- Note di Regia (F. R. di Meana)
- Il libretto
- Prima rappresentazione 5 marzo 1996
- Nella stessa serata "Angélique"
Tra conferme e ritorni a cura di Giorgio Gualerzi e Carlo Marinelli Roscioni
Ospite (anche in ltalia) il principe Barbablù
Parrà strano, e certamente ancora più strana la cosa appare oggi, che, nella sua storia del Maggio Fiorentino, Leonardo Pinzauti dedichi alla "prima" ìtaliana del Castello di Barbablù ("A Kékszakàllù herceg vàra", ovvero, per la precisione, Il castello del principe Barhablù) di Béla Bartòk, nulÌa più di una riga, ossia il semplice annuncio. Ma in fondo questo singolare comportamento non fa che rispecchiare, trent'anni dopo, l'analogo atteggiamento che si può desumere dal fascicolo ufficiale edito dal Maggio Fiorentino, dove l'avvenimento è illustrato da una sola fotografia a mezza pagina riproducente una scena del Barbablù nell'allestimento dell'Opera Reale di Budapest, che è lo stesso presentato a Firenze dalla compagnia ospite, unitamente alla Fiamma di Respighi, compositore molto amato nella capitale ungherese, e alla Filanda magiara di Kodaly. Eppure il 5 rnaggio 1938, data di questa attesa rappresentazione, prima e unica, al comunale di Firenze, non poteva, e tanto più non può passare inosservata per la convergenza di tre elementi; l'importanza oggettiva di un compositore come Bartòk; il fatto che Il castello di Barbablù era aliora, e tale resterà, la sua sola esperienza operistica; la presenza sul podio di un illustre direttore italiano quale era Sergio Faìloni, oggi ingiustamente dimenticato, ma non a Budapest perché legatissimo, come già Egisto Tango, alle vicende musicali dell'Ungheria contemporanea. Ci vorranno altri tredici anni prima che essa, il 19 aprile 1951, riveda la luce su un altro palcoscenico italiano, per l'occasione il San Carlo, sotto la bacchetta, questa volta, di un direttore ungherese, il grande Ferenc Fricsay. Nel frattempo però la radio italiana, fedele alla consuetudine di stabilire un posilivo rapporto con la produzione contemporanea, si era già impadronita dell'opera di Bartòk, trasmettendola una prima volta il 10 settembre 1939, ossia poco più di un anno dopo la ,"prima" fiorentina. Era soltanto il primo approccio radiofonico, seguito da altri otto, rispettivamente nel 1953, '64, '67, '71, '89 (due), '99, '95. A queste nove concert performances altrettante ne vanno aggiunte, a conferma di un sempre maggiore ricorso all'alternativa concertistica, senza cioè l'apporto scenico, offerta all'unica opera di Bartòk. In questo modo si arriva alla cifra di 18, equivalente a ben più di un terzo delle 43 edizioni (compresa l'attuale) che costituiscono finora il bilancio complessivo della vicenda italiana del Castello di Barhablù. Delle restanti edizioni sceniche 20 hanno interessato dieci città sedi di altrettanti Enti lirici, nonché il Teatro Bellini di Catania. Per quanto si riferisce alle rimanenti cinque edizioni destinate alla cosiddetta "provincia", a parte una andata in scena al Sociale di Rovigo, quella svoltasi alle Latomie dei Cappuccini di Siracusa è una semplice appendice della prima edizione del Massimo dl Palerrno; le ultime due, rappresentate rispettìvamente al Regio di Parma e al Municipale di Reggio Emilia, sono state invece importate dall'Opera Magìara di Cluj. Se passiamo a un esame più circostanziato delle varie edizioni del Castello di Barbablù, s'impongono due considerazioni:
1) Nella scontata prevalenza di interpreti italo-ungheresi, vuoi fra i direttori vuoi fra i cantanti, spiccano tuttavia, per quanto riguarda i prirni, i nomi di Peter Maag e Wolfgang Sawallisch. Curiosità suscita poi la triplice presenza di Carlo Maria Giulini fra il 1953 e il '55, compreso l'esordio scaligelo di Bartòk operistico nel gennaio 1954, protagonista maschile Mario Petri, ovvero forse il migliore Barbablù italiano.
2) La sostanziale ambiguità della tessitura trova conferma nei cast quasi esclusivamente italo ungheresi, dove la parte di Judith è contesa fra mezzosoprani acuti, quali Giulietta Simionato e Livia Budai, e veri soprani quali la "creatrice" fiorentina Ella Némethy (assai nota anche come eccellente "heldensoprano" wagneriano) e Gabliella Gatti, Elisabetta Barbato e Julia Varday, Lucilla Udovich ed Eva Marton, mentre Barbablù appartiene contemporaneamente sia ai baritoni (Giulio Fioravanti e Gyòrgy Melis) sia ai bassi-baritoni (Zoltan Kelemen), sia infine ai bassi puri corne il grande Mihaly Székely (presente a Firenze nel 1938 e ancora ventitré anni dopo al Nuovo di Torino) e il citato Petri, Ralfaele Ariè e Nicola Rossi Lemeni.
G.G.