Teatro Comunale di Bologna presenta:
Il trovatore (1966)
Dramma lirico in quattro atti di Salvatore Cammarano - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti principali: Marcella De Osma (Leonora) Francisco Lazaro (Manrico) Giovanna Fioroni (Azucena) Attilio D'Orazi (Il Conte di Luna) Carlo Cava (Ferrando)
- Maestro Concertatore: Carlo Franci
- Regia: Peter Busse
- Maestro del coro: Gaetano Riccitelli
- Coreografie: Carlo Faraboni
- Scene: Maria Antonietta Gambaro
- 1. De Osma 2. Lazaro 3. Fioroni 4. D'Orazi 5. Cava 6. Franci
Programma di sala (pagine 140)
- Prima rappresentazione 22 dicembre 1966
- La stagione lirica 1966/67
- I singoli spettacoli
- Il trovatore - Argomento - Interpreti
- Fotografie
L'Argomento
ATTO PRIMO - Primo quadro. In un salone del palazzo dell'Aliaferia vegliano gli uomini d'arme del Conte di Luna. Ferrando racconta la storia del fratello minore del Conte: si chiamava Garzia e un giorno presso la sua culla fu sorpresa una zingara che, sospettata di sortilegi, fu condannata al rogo; la figlia della presunta strega per vendetta rapì Garzia e qualche tempo dopo, nel luogo stesso dove era stata arsa la donna, furono rinvenute ossa infantili carbonizzate, nelle quali nessuno dubitò d'identificare i resti dello sventurato bambino.
Secondo quadro. Nel giardino del palazzo, Leonora confida a Ines come nacque in lei l'amore per uno sconosciuto cavaliere (si tratta di Manrico, il trovatore), ammirato e premiato vincitore d'un torneo, e come lo scoppio della guerra civile le impedì di rivederlo. Mentre le due donne si ritirano negli appartamenti, giunge il Conte di Luna, innamorato di Leonora e finalmente deciso a dichiarargliesi. Ma un canto che si avvicina lo trattiene e lo infiamma di gelosia: è Manrico. Alla sua voce, Leonora scende: nell'ombra, scambia il Conte per il trovatore e gli va incontro amorosa. Quando si accorge dell'equivoco, cerca inutilmente di spiegarsi col deluso Manrico. Intanto il Conte ha ravvisato nel rivale un proscritto seguace del nemico Urgel: è questo un motivo di più per sfidarlo a duello. Leonora sviene. I due, le spade sguainate, vanno a battersi.
ATTO SECONDO - Primo quadro. Bivacco di zingari sui monti della Biscaglia. Manrico ferito, è accanto a colei che crede essere sua madre, Azucena. La zingara gli narra la tragica conclusione del tentativo di vendicare l'ingiusto supplizio patito dalla propria madre: folle di dolore, un fatale errore le fece bruciare, invece d'uno dei due figli del vecchio Conte di Luna, il proprio. Manrico stupefatto le chiede chi egli sia allora, ma Azucena, prontamente ripresa si, ritratta il racconto e gli ricorda, in una sorta d'esaltazione, le molte prove d'amor materno che gli ha dato. Non ultima, la cura delle ferite che ha riportato combattendo contro il giovane Conte di Luna, il quale cosi ingenerosamente lo ha ricambiato d'avergli risparmiato la vita nell'ormai lontana notte del duello. Manrico confessa ad Azucena che effettivamente, nell'attimo in cui stava per finirlo, fu trattenuto da un segreto impulso più forte della volontà. Un messo reca a Manrico l'ordine di assumere la difesa di Castellor appena conquistata e la notizia che Leonora, al falso annuncio della morte di lui, ha deciso di prendere il velo. Sordo alle preghiere di Azucena, Manrico parte.
Secondo quadro. Il Conte con i suoi seguaci penetra nel chiostro presso Castellor per rapire Leonora. Il suo piano è però sventato dall'arrivo di Manrico. Egli viene circondato e disarmato dai fedeli del trovatore, capeggiati da Ruiz; quindi, per non cadere loro prigioniero, è costretto a fuggire. Leonora, felice di aver ritrovato Manrico, si allontana con lui.
ATTO TERZO - Primo quadro. I soldati del Conte sono accampati sotto le mura di Castellor e, incitati da Ferrando, si dispongono a ricominciare la lotta. Il Conte è sempre torturato dalla visione di Leonora fra le braccia di Manrico e dall'ansia di riprendergliela. Intanto alcuni armati hanno catturato Azucena: la donna viene interrogata e dalle sue parole Ferrando riconosce in lei la figlia della zingara che fu bruciata e la rapitrice del fratello del Conte. Azucena respinge le accuse e giustifica la sua presenza in quei luoghi dicendo d'essere alla ricerca del giovane che sostiene di essere figlio suo. All'udire il nome odiato di Manrico, il Conte, per la sola gioia di procurargli un atroce dolore, decreta la condanna di Azucena.
Secondo quadro. Sebbene turbati dalla certezza dell'imminente assalto nemico, Leonora e Manrico si apprestano a unirsi in matrimonio nella cappella di Castellor. La cerimonia però deve essere sospesa, perché Manrico, apprendendo da Ruiz che un rogo è pronto per Azucena, corre a tentare di strapparla alla morte.
ATTO QUARTO - Primo quadro. Manrico è stato fatto prigioniero e Ruiz guida Leonora alla torre dove lo hanno rinchiuso. Leonora unisce il suo struggimento alla disperata invocazione e all'addio di Manrico, mentre da un coro invisibile si leva il lugubre canto del "Miserere". Dal palazzo dell'Aliaferia esce il Conte, che conferma ai suoi uomini la disposizione che all'alba Manrico deve essere decapitato e Azucena bruciata. Leonora, che si era nascosta, gli si para davanti, dichiarandosi pronta ad offrirglisi purché accordi la libertà a Manrico. Il Conte si affretta a cogliere l'attesa occasione. Leonora, non vista da lui, beve il veleno che custodiva in un anello.
Secondo quadro. Manrico e Azucena attendono la fine in opposti stati d'animo, terrorizzata dall'idea delle fiamme lei, forte e rasse gnato lui. Entra nella cella Leonora, per annunciare a Manrico d'aver ottenuto per lui la salvezza. Manrico però, intuendo l'infame baratto, la respinge sdegnosamente, finché Leonora gli dice che proprio per non appartenere ad altri si è avvelenata. Il Conte li sorprende nell'attimo del loro estremo commiato e, furente d'essere stato giuocato da Leonora, ordina l'immediata esecuzione di Manrico. Azucena, destandosi dal torpore in cui era piombata, rivela esultante al Conte la storia dello scambio dei bambini. Sua madre è dunque vendicata e il Conte inutilmente inorridisce d'aver fatto uccidere suo fratello.