Teatro alla Scala di Milano presenta:
L'Allegra Brigata (1950)
Sei novelle in un dramma (tre atti) da novelle di Franco Sacchetti, Masuccio Salernitano, Sabbatino degli Arienti, Matteo Bandello. Libretto e musica di Gian Francesco Malipiero
- Interpreti principali: Tatiana Menotti (Violante) Gino Penno (Dioneo) Emma Tegani (Lauretta) Fernando Corena (Semplicio) Renato Capecchi (Beltramo) Maria Amadini (Oretta)
- Maestro Concertatore: Nino Sanzogno
- Regia: Giorgio Strehler
- Maestro del coro: Vittore Veneziani
- Coreografie: Yurek Shabelewsky
- Bozzetti e Figurini: Gianni Ratto - Ebe Colciaghi
- Direttore allestimento: Nicola Benois
Programma di sala (pagine 24)
- Introduzione (Guido M. Gatti)
- Argomento
- Interpreti
- Bozzetti delle scene
- Fotografie
L'argomento
PRIMO ATTO - Si apre con l'incontro di Violante e Dioneo, presto raggiunti dagli altri giovani dell'allegra brigata: Beltramo, geloso, scorgendo i due amanti estrae la spada e vorrebbe colpire Dioneo ma ne è trattenuto dai compagni. La serenità è presto ristabilita. Tutti siedono in cerchio e alcuni garzoni cominciano a vuotare i panieri colmi di provviste. Saturnina e Fileno, Pampinea e Tebaldo danzano, Lauretta e Oretta suonano il liuto, Semplicio la cornamusa. «Qui è bello e fresco stare - e ciascun può diletto pigliare - ma non giocando, bensì novellando» dice Lauretta. Accolto l'invito, a Violante tocca di raccontare la prima novella che tratta di "una bellissima giovane nominata Panjìlia", di cui si innamorò un giorno "un gentilissimo cavaliere": Panfilia "volendo il padre ad altro uomo dare" ne fu così addolorata che si ammalò; al suo capezzale, presente il padre crudele, la madre e due ancelle, venne finalmente il cavaliere, ma troppo tardi, perchè ella "stringendogli la mano - con breve sospiro - rendè l'anima al suo Fattore"; al che non resse il cavaliere, "cadde sopra la morte giovane - e affannosamente seguì - l'anima di quella - nei luoghi non conosciuti".
SECONDO ATTO - Dopo che Lauretta ha proposto un indovinello che Dioneo scioglie suscitando l'ira di Beltramo, Oretta racconta la seconda novella. Un pittore, ospite di certi monaci, è colto dal "mattutino" nella sua cella con una donna con la quale si è dato buon tempo. Dal coro salgono le voci dei cantori e il suono dell'organo; il pittore esce per recarsi a pregare e lascia al buio la donna che impaurita si alza, brancola cercando la porta e urta i vasi dei colori rovesciandoseli addosso. Ritorna il pittore e nel vedere la donna così imbrattata è colto da terrore e invoca aiuto. Accorrono i frati ma non osano entrare e la donna ne approfitta per svignarsela dalla finestra. I frati si fanno coraggio, penetrano nella stanza e non trovano che il pittore quasi svenuto ... La terza novella è esposta da Dioneo. Un nobile castigliano, messer Alfonso da Toledo, passando da Avignone per recarsi in Italia, fu preso d'amore per "una leggiadra madonna che Laura avea nome ", veduta affacciata a una finestra. Laura gli fece sapere di essere disposta a donargli il suo amore per mille fiorini d'oro. E così fu. Ma la notte seguente Alfonso invano attese all'uscio di Laura. Disperato e rimasto senza un soldo, decise di vendere cavalli, vestiti e quant'altro aveva portato seco. Tra i compratori vediamo sul piccolo palcoscenico farsi largo il marito di Laura: conosciuta la faccenda dei fìorini, egli ordina alla donna di restituire ad Alfonso il danaro per il quale "gli vendesti - con la tua persona - insieme il mio - il tuo onore". La conclusione è tragica: Laura rientra in casa seguita dal marito; si ode un urlo della donna e poi più nulla. La quarta novella è narrata da Semplicio. Ferrantino degli Argenti da Spoleto, sorpreso da un temporale, si introduce nell'abitazione di messer Francesco da Narni e si ferma in cucina dove sta "una fante assai leggiadra e giovane", Caterina. Al ritorno messer Francesco minaccia Ferrantino con la spada, poi vi rinuncia e preferisce andare ad accusarlo alla Signoria. Ferrantino non si lascia scappare l'occasione per metterlo fuori dell'uscio e barricarsi in casa: bussano amici invitati a cena da messere Francesco, ma egli non se ne dà per inteso, nè risponde alle rabbiose intimazioni di aprire di messere Francesco ritornato sui suoi passi, abbraccia la Caterina, e se la porta nella stanza di sinistra ...
TERZO ATTO - Beltramo è crucciato. Interviene a distoglierlo dai tristi pensieri Semplicio che dà la parola, per la quinta novella, a Lauretta. In terra di Guascogna un ricco gentiluomo, am-mogliato con una donna «"molto bella e avvenente", aveva un fratello pazzo che "combatteva con la sua ombra". Un giovane, innamorato della donna, per poter più liberamente avvicinarla pensò di indossare abiti identici a quelli del pazzo. Accadde però che il pazzo si imbattè nel giovane e lo scambiò per la propria ombra e si diede a tirar di spada contro di lui. Il giovane badò a parare non volendo ferire il pazzo. Accorsero i famigliari. Il pazzo si fermò scoppiando in una risata. Il giovane ne approfittò per squagliarsela. "Di questa ventura - l'amante rise più volte - con la sua innamorata - con la quale si diede buon tempo - finche il pazzo non fu in vita". Un breve intermezzo durante il quale Saturnina, Filenio, Tibaldo e Pampinea giocano a mosca cieca dopo che Beltramo si è rifiutato di parteciparvi. Quindi è Beltramo che narra "della bella Eleonora - che di tutto e di tutti si beffava". La donna ha appena ricevuto la visita di Pompeo, che arriva il marito. In fretta fa coricare l'amante su una cassapanca e lo copre d'una veste. Il marito mostra la spada che ha acquistato ed ella si prende gusto a indicargli diversi punti della veste sotto cui si nasconde Pompeo, dove dovrebbe provare il buon filo della lama. Quando il marito se n'è andato, Pompeo è più morto di spavento che vivo e si ripromette di vendicarsi. Cambia la scena sul teatrino. Pompeo, fintosi gravemente ammalato, è a letto e dalla sorella Barbara si fa condurre Eleonora alla quale rivela il suo intento di tenerla prigioniera finchè non si sia preso la rivincita "della fiera e spaventevol beffa" giocatagli. La fa sedere accanto a sè, poi, alla voce di Barbara, abbassa le tende dell'alcova. Barbara introduce giovani gentiluomini ai quali Pompeo, disceso dal letto, mostra la "medicina" che lo ha guarito. A Eleonora, svergognata e piangente, Barbara dice: "Madonna, mio fratello - vi ha reso pan per ischiacciata". Irrompe in quel momento il marito di Eleonora che con la spada trafigge Pompeo. Dioneo disapprova la conclusione della novella. No, gli replica Beltramo, "così doveva finire - e così finisce l'allegra brigata", mentre lo colpisce a morte.