Il Piccolo Teatro della Città di Milano presenta:
Ricordo di due lunedì (1961)
Di Arthur Miller
- Interpreti principali: Tino Buazzelli, Luciano Alberici, Gabriella Giacobbe, Renato De Carmine, Piero Faggioni, Corrado Nardi, Armando Anzelmo
- Traduzione: Bruno Fonzi
- Musiche: Fiorenzo Carpi
- Scene e Costumi: Luciano Damiani
- Regia: Giorgio Strehler
Programma di sala (pagine 36)
- Il programma è condiviso con lo spettacolo: L'eccezione e la regola
- Il mondo di Miller (Alberto Pozzolini)
- Stagione 1960/61
- Il lavoro di Arthur Miller e la società che rievoca
- Il Piccolo dal 1947 ...
Il mondo di Arthur Miller
Arthur Miller rappresenta senza dubbio un anacronismo. Può sembrare un paradosso una simile affermazione, riferita ad uno scrittore engagé, che trae motivi di ispirazione soltanto dalla realtà sociale che lo circonda, dagli avvenimenti politici, culturali, ideologici cui si trova ad assistere. Anche a voler tralasciare un'analisi dei romanzi, delle poesie, della parte saggistica e critica di Miller, il lettore può certo scorrere con profitto le pagine dei suoi testi drammatici, trovando sempre - e con molta facilità - un aggancio preciso al dato di cronaca, ad una particolare situazione, addirittura all' “atmosfera” di un certo periodo, che egli stesso può ricordare di aver attraversato. “Erano tutti miei figli” non porta a caso la data del 1947. E “Morte di un commesso viaggiatore” preannuncia la disfatta democratica di pochi anni dopo, il disagio del ceto medio americano insoddisfatto dell'andamento delle cose. “Il Crogiuolo” sembra, apparentemente, staccarsi dall'occasione per l'affresco storico: ed è, al contrario, il dramma più “ideologico”, nato come reazione alla marea del maccartismo trionfante. “Uno sguardo dal ponte” è stato frettolosamente legato alla polemica contro Kazan, contro la convocazione davanti alla Commissione per le Attività Antiamericane: indubbiamente è un riassunto critico delle vicende di quegli anni ed una fiera risposta, anche se artisticamente confusa, a quei tentativi di intimidazione politica. Che cosa propone di diverso, allora, l'atto unico “Ricordo di due lunedì”? Prima di tutto esso è profondamente rivelatore. E' una confessione, una testimonianza dell'anacronismo di Miller. Per la prima volta il drammaturgo americano abbandona la realtà sociale in cui vive - ed anche ogni possibile aggancio tematico agli avvenimenti che essa produce. Dell'intero arco della sua esistenza Miller sceglie gli anni intorno al 1933-35. Scelta significativa. Che cosa ha voluto dire - per Miller - la presidenza di Roosevelt? Il periodo del “New Deal”? Ha amato, ha compreso la cultura di quegli anni, la narrativa impegnata degli Hemingway, dei Dos Passos, degli Steinbeck; i testi drammatici di Odets, di Anderson; le poesie di McLeish; i saggi eli Wilson? L'II dicembre del 1929, un giorno non diverso dagli altri, a New York: vengono trovati morti Henry Grew Crosby e sua moglie. Si sono suicidati. Crosby, giovane ricchissimo e colto, era stato uno dei mecenati di quel periodo. Di ritorno in America, dopo un viaggio in Europa, aveva scritto: “Amo New York, una casa di pazzi piena di esplosioni, con le sirene che urlano sul fiume e i poliziotti che fischiano per regolare il traffico e il tuonare ferrigno della Sopraelevata che i fari verdi trafiggono, la notte”. Nel suo gesto c'è il simbolo di una generazione che muore - la Generazione Perduta - ma anche quello di una generazione che nasce, quella che riconoscerà in Roosevelt una delle proprie guide e che saprà reagire al disastro economico di quegli anni ed anzi trovare in esso la forza di snodare il proprio discorso, con una violenza che troppo spesso è solo virulenza. Odets assale gli spettatori dalla ribalta con il suo “Aspettavano Lefty”: “Dopo nemmeno due minuti il pubblico si sentì travolto dallo spettacolo come da un'irresistibile ondata. Risate sonore, calorosi consensi, uno strano giocoso fervore parevano legare la platea al palcoscenico” ha scritto Clurman. Hemingway va a combattere in Spagna. Steinbeck esplode con tutto il suo “furore” in cerca di una nuova terra promessa (finirà col fare l'inviato speciale di LIFE). Sono questi gli anni in cui nascono e fioriscono importanti iniziative teatrali - il Group Theatre, il Federal Theatre - e Miller ci vive dentro, ne è il figlio ortodosso. “Ricordo di due lunedì” è pieno di affetto. Per chi? E' ovvio rinvenire un motivo autobiografico. Ma questo atto unico è qualcosa di più della storia di un ragazzo che vive per alcuni mesi nel reparto spedizioni di una grande ditta di pezzi di ricambio per automobili; e che poi deve andarsene per continuare i suoi studi, cui si è preparato con tanto sacrificio, ma anche con tanto commovente fervore; e che capisce di dover abbandonare tra quelle mura sudicie e buie un brandello della propria vita e del proprio amore per gli altri. “Ricordo di due lunedì” è qualcosa di più. E' ancora amore per una città, per la gente che ci abitava e che forse non è più, per una povertà che indignava, ma che dopotutto era sopportabile e stimolante, per una condizione umana che non era ancora giunta all'alienazione del nostro dopoguerra. Ma è soprattutto amore di una realtà storica precisa, di una cultura, di un periodo di battaglia politica e ideologica cui Miller si sente profondamente legato, indissolubilmente unito, anche se forse questa battaglia si è tramutata in una sconfitta e ha costretto tutti a dare l'addio ai sogni della giovinezza. America amara. America tragica, come ricorda il titolo di un noto romanzo di Dreiser: “Il ritmo di questo grande paese è contrassegnato dalla velocità e dalla lotta. Automobili più veloci, macchinario più efficiente, sempre nuovi grattacieli torreggianti eretti a tempo di primato, ferrovie sotterranee che gridano la necessità estrema della velocità, città nuove e più grandi, nuovi affari, nuove angosce e nuove preoccupazioni come se noi, di tutti i popoli, avessimo l'ordine non soltanto di meccanizzare, ma di popolare il mondo! Ma perchè? Per qualche fatto noto e per qualche ragione spirituale? Mi sembra piuttosto che in questa atmosfera la condizione fisica e mentale di milioni di persone sia già stata spazzata via o sia in procinto di esserlo. Essi vivono e muoiono senza gustare nulla che ne valga la pena. L'individuo medio è veramente torturato; è così numeroso, così insignificante, così completamente confuso e sconfitto”. Che cosa ha in comune Miller con la sfatta morbosità di Tennessee Williams? O con gli esperimenti di Gazzo, tanto per fare un altro nome? Ha il tocco snobistico di Updike, la nuova rivelazione della narrativa americana, appoggiato dagli intellettuali del “New Yorker”? O il gusto di Salinger? Il suo Gus, che protesta per la mancanza di gabinetti di decenza, è più vicino - ci sembra - ai tassisti di Odets; e il suo Bert è fratello del giovane protagonista di “Sotto i ponti di New York” di Anderson (anche se la sua è una sete di cultura, oltre che di giustizia); e tutte le sue creature sono apparentate con quelle nate dalla narrativa, dal cinema, dal teatro di venti anni fa, respirano con esse, solo per esse si spiegano, solo con esse si completano e possono innalzarsi dalla loro materia, librarsi e viverci davanti.
ALBERTO POZZOLINI