Teatro Stabile della Città di Roma presenta al Teatro Valle:
Rose rosse per me (1966)
Due tempi di Sean O'Casey
- Interpreti principali: Elena Zareschi, Luigi Vannucchi, Anita Laurenzi, Ileana Ghione, Franco Sportelli, Vincenzo De Toma, Filippo Scelzo, Nicoletta Languasco
- Traduzione: Luciano Codignola
- Scena: Gianni Polidori
- Costumi: Misa D'Andrea
- Regia: Alessandro Fersen
Programma di sala (pagine 36)
- La stagione 1966/1967
- Introuzione (David Krauze)
- Il teatro irlandese (Luigi Lunari)
- Sean O'Casey (Luigi Lunari)
- Il Cast
Sean O'Casey
Per la vastità degli interessi, per l'altezza dell'ispirazione poetica, per il costante impegno umano e sociale delle sue opere, Sean O'Casey è senza dubbio la figura più interessante del teatro irlandese moderno. Nato a Dublino il 31 marzo del 1880 da una famiglia operaia di religione protestante, e cresciuto nel miserrimo ambiente della Dublino proletaria a cavallo del secolo, Sean O'Casey frequentò le scuole tanto poco e male che a tredici anni sapeva a malapena leggere e scrivere. La morte del padre l'aveva obbligato ben presto a cercarsi un mestiere: fu commesso di negozio, giornalaio, sterratore, portuale, muratore. Giovanissimo ancora prese ad interessarsi di politica e di questioni sindacali: fu segretario della Citizens Army (un'associazione laburista di cui fece parte il grande sindacalista Jimmy Larkins), e partecipò alla insurrezione dublinese della Settimana Santa del 1916. Nel frattempo aveva provveduto anche a farsi quella cultura che non aveva potuto avere dalla scuola: alla Gaelic League apprese il gaelico, lesse tutti i libri che riusciva a farsi prestare o che i suoi magri guadagni gli potevano permettere. Spirito pensoso, osservatore attento della realtà, non aveva tardato a trovare nel difficile ambiente della Dublino di quegli anni motivi pressanti di polemica e d'espressione artistica; ed il teatro dovette apparirgli subito come la forma d'espressione più consona al proprio sentire poetico, se già a diciassette anni aveva scritto «La veste di Rosheen» (The robe of Rosheen), un battagliero atto unico pubblicato su un giornaletto repubblicano, The plain people. Ma dovevano passare più di vent'anni - e le dure esperienze della guerra di liberazione e delle lotte di classe - perché O'Casey trovasse finalmente un proprio valido e maturo linguaggio teatrale. Nel 1920 l'Abbey Theatre gli rifiutava «Il gelo nel fiore» (The frost in the flower), non senza però che Yeats e Lady Gregory notassero pur sotto l'insufficienza di quel primo lavoro la presenza di una personalità non comune; e solo nel 1923 - dopo altri insuccessi - il glorioso teatro accetta e rappresenta «Il falso repubblicano» (The shadow of a gunman), che assieme a «Giunone e il pavone» (Juno and the "paycock ", 1924) e a «L'aratro e le stelle» (The plough and the stars, 1926), costituisce la cosiddetta «trilogia dublinese ». In questo primo gruppo di opere O'Casey appare ancora molto legato ai suoi immediati predecessori della scuola realistica, particolarmente a Robinson, a Saint John Ervine, a Murray, a Padraic Colum, anche se ad un identico atteggiamento di critica, di osservazione obbiettiva della realtà si associa in O'Casey una profondità di intuizioni, un vigore espressivo ed un senso poetico che certo nessuno degli autori citati poteva vantare. La novità di questa trilogia dublinese consisteva semmai nel fatto che O'Casey era stato il primo ad ambientare le proprie opere tra gli slums di Dublino e a renderne protagonista il proletariato cittadino, completando così quella «scoperta» dell'Irlanda vera che gli autori della scuola realistica avevano condotta. L'aratro e le stelle ebbe conseguenze determinanti per la vita e l'opera di O'Casey; ambientata al tempo della rivoluzione del 1916, essa offriva un quadro vivo, amaro e privo di cieche esaltazioni scioviniste di quei giorni di sangue, e come tale non piacque all'Irlanda appena nata, che non voleva ancora sentirsi dire che «la nascita di una nazione non è mai - nelle parole di Denis Johnston - immacolata concezione». Il pubblico dell'Abbey Theatre rinnovò in quell'occasione i fasti della battaglia del Playboy, e da quel momento ebbe inizio la lotta tra le amare verità di O'Casey e le comode convenzioni del benpensantismo irlandese. Due anni dopo - nel 1928 - l'atmosfera che le sue convinzioni socialiste e la sua coerenza morale gli hanno creata in Irlanda si è fatta tanto irrespirabile che O'Casey prende la via dell'esilio e si trasferisce in Inghilterra. Con «La tazza d'argento» (The silver tassie) - scritta in quello stesso anno o l'anno prima - ha inizio una decisa evoluzione dalle posizioni di quella scuola realistica di cui la «tritogia dublinese» rappresentava - abbiamo detto - l'ultimo e migliore capitolo, verso nuovi temi, verso nuove e più vaste possibilità espressive. La tazza d'argento - che è l'unica tra le sue opere a portare l'indicazione di tragicommedia - accentua quel sottile simbolismo che già era comparso in luce ne L'aratro e le stelle, e con maggior decisione si pone sulla strada che sarà più tipica del teatro di O'Casey: quella, appunto, di un'intima indissolubile unione, una vera e propria simbiosi tra l'elemento comico e l'elemento tragico, che così caratteristicamente si presenteranno in tutte le sue opere migliori, fianco a fianco in una stessa scena e talvolta perfino in una stessa battuta. Durante i primi anni dell'esilio O'Casey tentò di trovare fuori d'Irlanda ambienti nuovi e nuovi motivi d'ispirazione, ed in «Entro le porte» (Within the gates, 1933) rivolse ad esempio la propria attenzione alla vita del popolo londinese; ma ben presto lo riassalì la nostalgia della sua terra e in «La stella diventa rossa» (The star turns red, 1940) ritornò - dopo alcuni atti unici di minore importanza - a quell'ambiente dublinese che meglio conosceva e che più gli era congeniale, accentuando ulteriormente sia il ricorso a mezzi espressivi simbolistici ed impressionistici, sia l'impegno politico e sociale delle tesi. La stella diventa rossa, «Foglie di quercia e lavanda» (Oak leaves and lavender, 1946) «Rose rosse per me» (Red roses for me, 1942) sono espressione di questa seconda fase: il loro tema è la lotta del proletariato di Dublino per un mondo migliore (inquadrata - in Foglie di quercia e lavanda - nella lotta più particolare ed urgente contro il nazi-fascismo), protagonisti sono giovani operai le cui forze vitali, il cui senso di aperta solidarietà umana vengono soffocati dalle vecchie ammorbanti strutture dell'Irlanda contemporanea. Di una terza fase dell'opera di O'Casey si può parlare a proposito del «Bel chicchirichì» (Cock-a-doodle dandy, 1950), «Il falò del Vescovo» (The bishop's bonfire, 1955) e «I tamburi di padre Ned» (The Drums of Father Ned, 1958?). In queste tragicommedie ricompaiono tutti i motivi del mondo interiore di O'Casey, svincolati però ad ogni particolare riferimento ad un troppo preciso ambiente o momento storico (come nell’ Aratro e le stelle, come ne La stella diventa rossa), e tipicizzati per così dire in un'Irlanda contadina e minuscola, non tanto reale quando immaginata, che racchiude però in sintesi tutti gli elementi dell'Irlanda vera.
LUIGI LUNARI