Teatro alla Scala di Milano presenta:
Da una casa di morti (1966)
Opera in 3 atti dal romanzo di Fjodor M. Dostojevskij. Libretto e musica di Leos Janacek. Traduzione di Anton Gromen Kubizki.
- Interpreti principali: Aldo Bertocci (Filka Morosov) Ferrando Ferrari (Skuratov) Carlo Franzini (Alieja) Giuseppe Zecchillo (Petrovic Gorjanscikov) Piero De Palma (Sciapkin) Piero Guelfi (Sciskov) Gian Paolo Corradi (Ceriovin) Lorenzo Testi (Il comandante)
- Maestro Concertatore: Vaclav Smetacek
- Regia: Karel Jernek
- Maestro del coro: Roberto Benaglio
- Scene e costumi: Frantisek Troester
- Direttore allestimento: Nicola Benois
Programma di sala (pagine 40)
- Prima rappresentazione 22 dicembre 1966
- Introduzione (Giulio Confalonieri)
- Argomento
- Interpreti
- Bozzetti delle scene
- Fotografie
L'argomento
ATTO PRIMO - Cortile di una prigione siberiana sul fiume Irtitsk. Una gelida alba invernale. I reclusi escono dalle camerate, alcuni si divertono a molestare un'aquila zoppa che sta in un angolo, altri si dirigono verso la cucina. Il prigioniero piccolo e il grande si insultano e si azzuffano. Arriva un nuovo ospite, il suo aspetto cittadino irrita il Comandante. Aleksàndr Petrorzic Gorjanscikov, si chiama; viene da Pietroburgo, è qui per la politica, dice. Il Comandante ordina che sia spogliato dei suoi abiti borghesi, gli si taglino i capelli, gli siano messe le catene ai piedi e riceva un'adeguata somministrazione di vergate per fargli capire che qui bisogna rigar dritto. Nuovamente I'aquila attira l'attenzione d'un gruppo di prigionieri, la fiera aquila che muore piuttosto di arrendersi perché ama Ia libertà e non sopporta schiavitù. Le guardie spingono i forzati al lavoro menando bastonate. Skuratov si avvicina ai sarti, intona una canzone popolare ("M'han sposato all'insaputa..."), pensa con nostalgia a Mosca, al tempo in cui faceva il ciabattino. Lukà Kuzmic non tollera che lo chiami troppo confidenzialmente con il solo nome di battesimo, e non anche con iI patronimico; i compagni lo ingiuriano, egli continua a cantare la sua canzone, poi comincia a ballare, finché stramazza a terra. Lukà racconta d'aver conosciuto, appena messo dentro, un vecchio che si proclamava innocente. Racconta anche come un giorno, stanco del trattamento inflitto a lui e ai compagni, tutti ucraini alti e forti come tori ma remissivi e quieti, si ribellò: chiese di parlare all'ufficiale che allora comandava il campo e che, crudele e altezzoso, pretendeva d'essere "Zar e Iddio"; gli ficcò una lama nella pancia, fu pestato fin quasi a morirne. Ritorna Gorjanscikov dopo esser stato torturato: tira fuori un coltello, si apposta ad un angolo, deciso a evadere, ma poi non ha la forza di attuare il suo gesto disperato e si lascia condurre via dalle guardie.
ATTO TERZO - Di nuovo inverno. L'infermeria della prigione. Seduto sulla stufa il prigioniero vecchissimo. Aljeja è a letto con la febbre. Gli fa visita Gorjanscikov, parlano delle letture edificanti di Aljeja, ad AÌjeja è rimasto impresso quando Gesù dice: perdona ai tuoi nemici. Ama! Dispute e amari ricordi si intrecciano tra gli altri degenti. Sciapkin racconta com'è finito qui: fu trascinato in un pasticcio da due bracconieri conosciuti in un'osteria, furono beccati e messi dentro, andò a trovarlo un guardiacaccia e tanto gli tirò le orecchie che lo costrinse a sottoscrivere una confessione. Skuratov balza improvvisamente dalla branda: impazzito, si mette a bailare invocando l'amata Luisa, Skuratov è immobilizzato, ridiscende il silenzio, gli ammalati si addormentano, il prigioniero vecchissimo è sempre sulla stufa, con lui anche Sciskòv e Ceriòvin rimangono svegli. Sciskòv racconta a Ceriòvin la propria storia. In paese c'era un ricco e anziano possidente, Ankudìm Troflmic, che dalla seconda moglie Maria Stiepànova aveva avuto due figli, la maggiore, Akulka, di diciotto anni. Un giorno Filka Morosov, un commerciante, disse ad Ankudìm di dargli i suoi soldi, ne aveva abbastanza di trafficare con lui, voreva andare soldato e non voleva più sposare Akulka, tanto a dormire insieme c'era già stato. I genitori si diedero a picchiare da mattina a sera Akulka. E Filka Morosov a rincarare la dose, infangando la reputazione deila ragazza in modo che nessuno la sposasse più. "Brava ragazza quella Akulka, mia compagna di bisboccia", diceva, "Sei tutta linda, veìtita di bianco, dimmi chi ami"' Una volta anche lui, sciskòv, incontratala per strada le disse: "Come sei ben vestita, dimmi da chi prendi i soldi, ti diro con chi viv!". Maria Stiepànova credendo che se la intendesse con Iui minacciò di ammazzarra. "Era dunque una sguardrina? interrompe Ceriòvin. "Aspetta un pò,,, prosegue Sciskov. Finalmente proposero a lui di sposarra, con l'aggiunta di una buona dote. Con Ìa corona nuziale si copre tutto, ma Filka Morosov a provocarlo: "Con tua moglie mi coricherò ogni notte che voglio". Si sposarono, e lui ebbe la straordinaria sorpresa di trovarla vergine. Ma se era una ragazza onesta, perché Filka Morosov l'aveva disonorata di fronte a tutti, e lei aveva sopportato d'essere diffamata? Il padre disse che se l'avesse saputa pura, di certo avrebbe scelto per lei un altro marito. Il giorno dopo il matrimonio, lui era ubriaco come al solito: corse per il paese in cerca di Filka Morosov e trovatolo gliele suonò di santa ragione, e quello: "Sei uno scemo, eri sbronzo quando ti hanno fatto sposare". Lui corse a casa e picchiò Akulka. Poi, il giorno che Filka Morosov partì militare, lui ebbe la rivelazione che Akulka amava ancora quel mascalzone come non avrebbe amato mai nessun altro uomo. Allora la invitò a seguirlo nei campi, e quando furono in un bosco la afferrò per i capelli, le arrovesciò la testa e la accoltellò alla gola. La rinvennero la sera, dissanguata. Lui che è qui sono quattro annl. Luka Kuzmìc, ricoverato da tempo in infermeria e ormai agonizzante, ha inteso qualche cosa del racconto di Sciskòv. Adesso che ha chiuso gli occhi, Sciskòv Io fissa, scorge sul suo petto una croce di legno, riconosce in lui Filka Morosov. Portano via il cadavere. "Canaglia" gli grida dietro Sciskòv. Una guardia chiama Aleksàndr Petrovic Gorjanscikov. Il Comandante riceve Gorjanscikov. Protervo e mellifluo insieme, gli domanda scusa se qualche volta l'ha trattato male, ma subito gli ricorda che è un buono a nulla, un disgraziato, insomma un prigioniero. Comandante "per volontà di Dio", gli annuncia solennemente che è libero. Aljeja gli si getta tra le braccia, e Gorjanscikov: "So che ci rivedremo". I prigionieri aprono la gabbia dell'aquila. L'aquila, con l'ala guarita, spicca il volo. "Solca il vasto cielo!" dicono i prigionieri che vedono in essa il simbolo dell'inviolabile libertà dello spirito umano, presente anche nelle anime oppresse e umiliate dei forzati. Aljeja si congeda piangendo da Gorjanscikov, atteso da una nuova vita, dopo la resurrezione dai morti, e prega Dio che lo compensi e lo benedica del bene fattogli. "Libertà, ricchezza estrema", dicono i prigionieri.