Teatro alla Scala di Milano presenta:
Il Pirata (1958)
Melodramma in 3 atti di Felice Romani - Musica di Vincenzo Bellini
- Interpreti principali: Maria Meneghini Callas (Imogene) Franco Corelli (Gualtiero) Ettore Bastianini (Ernesto Duca di Caldora) Plinio Clabassi (Goffredo)
- Maestro Concertatore: Antonino Votto
- Regia: Franco Enriquez
- Maestro del coro: Norbeto Mola
- Scene e costumi: Piero Zuffi
- Direttore allestimento: Nicola Benois
Programma di sala (pagine 24)
- Prima rappresentazione 19 maggio 1958
- Un angelico pirata (Claufdio Sartori)
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
L'argomento
ATTO PRIMO. Primo quadro. Un vascello, squassato dalla tempesta, naufraga contro la scogliera di Caldora. Tra i superstiti, Goffredo, un eremita, riconosce Gualtiero conte di Montalt0, di cui fu precettore, e il suo luogotenente Itulbo. Partigiano del re Manfredi, alla sua morte Gualtiero fu esiliato dall'angioino duca Ernesto di Caldora, il quale, innamorato della bella Imogene e risoluto a sposarla benché non corrisposto, si vendicò così del più fortunato rivale. Da allora, son passati dieci anni, Gualtiero è a capo dei pirati aragonesi, mai disperando di poter un giorno rimettere piede in patria e riunirsi alla sua Imogene. Le avverse vicende della battaglia sostenuta nelle acque di Messina con la flotta armata da Carlo d'Angiò per liberare i suoi mari dalle rovinose scorrerie delle navi corsare e posta agli ordini del duca di Caldora, lo hanno portato adesso ad approdare in circostanze drammatiche alla costa siciliana. E antica consuetudine che gli stranieri ricevano ospitalità nel castello del duca e questa volta è la duchessa Imogene personlmente che viene a rivolgere l'invito ai naufraghi. Mentre Goffredo nasconde Gualtiero nel suo eremo per evitare che s'incontri con Imogene, essa apprende come i pirati siano stati sconfitti: sopraffatta dall'emozione, sfoga con Adele le proprie pene e le rievoca il sogno premonitore nel quale vide il non dimenticato Gualtiero ucciso dal consorte. Attratto dalla voce di lei, Gualtiero si affaccia un istante e si lascia sfuggire un'esclamazione: Imogene interroga chi sia colui e ne ha risposta evasiva, ma il timbro di quella voce le sembra una suggestione della fantasia e accresce il suo struggimento.
Secondo quadro. I pirati, ebbri di vino, si abbandonano a disordinata allegria, invano ammoniti da Itulbo a mostrarsi più prudenti perché non si scopra la loro identità che li perderebbe. Imogene ha chiesto di rivedere quel misero marinaio rimasto presso l'eremita, ed ecco Gualtiero che dapprima cerca di eludere le sue trepide domande e infine le si rivela. La loro gioia di ritrovarsi è breve: Imogene non può tacere la sua attuale condizione di moglie del duca Ernesto, al quale si piegò per soccorrere il padre imprigionato e morente. Dolore, sdegno, desiderio di vendetta sconvolgono Gualtiero, e gli incontrollati moti dell'animo arriverebbero a guidargli il pugnale contro il fanciullo che le damigelle conducono a Imogene e che egli ravvisa essere il figlio di Ernesto, se l'angosciato grido di lei non gli arrestasse la mano. Gualtiero restituisce allora a Imogene la sua creatura, amaramente esortandola a custodirla " per memoria d'un nodo sciagurato ed eterno rimprovero del tradito amar", e si allontana mentre Imogene in lacrime lo ringrazia del suo gesto generoso e invoca il suo perdono.
ATTO SECONDO. La soddisfazione del duca per la vittoria è incompleta, giacché gli manca la certezza di aver tolto di mezzo Gualtiero. Incomprensibile gli riesce l'atteggiamento della moglie che anziché partecipare al giubilo generale appare riservata e mesta, e che merita pure rimprovero per aver incautamente dato asilo a stranieri sconosciuti. Per accertare chi siano costoro, egli comanda che vengano tradotti in sua presenza, e tosto che lo sono vuoi conoscere il capo. Itulbo si presenta come tale. Non persuaso, il duca terrebbe tutti prigionieri se non intercedesse per loro Imogene. Dal gruppo dei pirati esce Gualtiero e sommesso esige da Imogene un convegno, pena la vita sua, del figlio e del marito. Poiché la donna rifiuta, fa per svelarsi e affrontare Ernesto. Imogene sbigottita è tratta nelle sue stanze dalle damigelle, mentre Itulbo e Goffredo nescono a frenare Gualtiero ed a trascinarlo lontano.
ATTO TERZO. Primo quadro. Imogene sfoga il suo dolore. Il duca la esorta a confessare quale ne sia la vera cagione. Gli basti il pensiero, dice Imogene, che essa è sua, e madre del suo erede; quanto a Gualtiero, ammette di amarlo, ma come si ama la memoria di un caro scomparso. Non si placa il duca, che ha sempre sperato di ottenere da lei un tenero affetto, tanto più che un messaggio lo avverte che Gualtiero si cela nel castello.
Secondo quadro. Itulbo tenta di dissuadere Gualtiero dall'incontro con Imogene, e di indurlo piuttosto a fuggire, ma Gualtiero non intende ragione. Imogene raggiunge Gualtiero, lo informa che è stato scoperto e lo scongiura di mettersi in salvo. Egli lo farà a patto che essa parta con lui. La donna però dichiara di essere rassegnata al suo destino, per quanto crudele sia. Essi stanno per separarsi quando Ernesto li sorprende. Lo scontro all'ultimo sangue è inevitabile. Invano Imogene si interpone, i due rivali escono ed essa, atterrita, ode dall'esterno il cozzare delle loro spade.
Terzo quadro. Nell'atrio del castello i soldati, al suono di un lugubre marcia, formano un trofeo delle armi di Ernesto, e tutti compiangono il duca che nel duello è stato ucciso da un vile pirata e che deve essere vendicato. In quell'istante compare Gualtiero che si offre volontario alla morte gettando la spada. La folla stupita lo affida al supremo giudizio del Consiglio dei Cavalieri. Imogene, tenendo il figlio per mano, si avanza lentamente, con aria smarrita. L'infelice vaneggia: le sembra di vedere un guerriero trafitto, Ernesto, che chiama il figlio, il quale dal padre invocherà clemenza e perdono per chi gliela salvò. La visione è interrotta da un funebre suono. Imogene capisce che il Consiglio ha condannato a morte Gualtiero. Allora la riprende il delirio e fugge.