Teatro Massimo Bellini di Catania presenta:
La traviata (1974)
Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave dal dramma "la dame aux camélias" di Alexandre Dumas figlio - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti principali: Elena Mauri Nunziata (Violetta) Gianfranco Pastine (Alfredo) Gabriele Floresta (Giorgio) Marisa Zotti (Flora) Giovanna Collica (Amina) Prima ballerina: Franca Roberto
- Maestro Concertatore: Armando Gatto
- Regia: Pietro Pitino
- Maestro del coro: Rolando Maselli
- Coreografie: Franca Bartolomei
- Scene: Attilio Colonnello
- Costumi: Maria Letizia Amadei
- Direttore allestimento: Roberto Laganà
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- 1.Mauri Nunziata 2.Pastine 3.Floresta 4.Zotti 5.Gatto 6.Pitino 7.Maselli 8.Batolomei
Programma di sala (pagine 20)
- La Traviata e il suo tempo (Franco Abbiati)
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
La traviata e il suo tempo
1853. Ouarant'anni. Verdi li compirà presto. Li compirà con la coscienza di non averli sprecati. Il soggiorno a Venezia, se gli ha procurato l'amara sorpresa della caduta di Violetta e rinfocolato il rimorso d'avere lasciata sola a Santa Agata la sua Peppina, rappresenta comunque l'occasione rara, anzi unica, per riandare con la memoria alle trascorse battaglie e alle piccole e grandi vittorie dell'esistenza. C'erano anche le sconfitte da ricordare, e come no: tra esse la freschissima alla Fenice veneziana. Ma alle sconfitte Verdi non ci faceva caso. Entravano nel novero degli imprevisti, delle slittate, degli azzardi inevitabili per ogni forte camminatore. Meritate o non meritate - quante volte non l'aveva scritto di suo pugno? - «il tempo giudicherà». E davvero il tempo non avrebbe tardato a giudicare. Poiché tra le conseguenze buone e cattive di quel soggiorno sulla laguna, non figurò soltanto la specie di monco bilancio retrospettivo cui, in forma autobiografica, Verdi era stato indotto da certo pennigero Luzzati presentatogli dal Piave. Ma ancora doveva primeggiare coi più lieti auspici la rinsaldata amicizia con il proprietario e i frequentatori assidui del negozio musicale di Toni Gallo in piazza San Marco: in particolare con l'avvocato Somma, futuro librettista di Re Lear e di Un ballo in maschera, e con il critico dilettante e medico alienista Cesare Vigna. Furono costoro, Gallo, Piave, Somma, Vigna, un Venturi, e chissà, lo stesso pennigero Luzzati probabilmente fiancheggiato da una enigmatica donnina, “l'angelo" delle distrazioni estemporanee, a erigersi tra gli strenui difensori della Traviata dopo il tonfo. E sarà Toni Gallo, anche violinista e impresario del teatro San Benedetto, che addirittura, avuta ne l'autorizzazione dall'autore e raccolta una compagnia di cantanti diversa da quella scritturata alla Fenice, non esiterà a rimettere in scena l'opera caduta assicurandole, nella città medesima che le fu contro, la clamorosa rivincita della primavera del '54. Ma restiamoci alla quaresima del '53, tempo della sconfitta di Violetta. Perchè cadde con fragore, la sera di domenica 6 marzo, il secondo autentico capolavoro verdiano, due soli anni dopo che il primo, Rigoletto alla stessa Fenice aveva trionfato? Nei suoi laconici messaggi, Verdi, imperterrito, si rifiuta di ”indagarne le cause". Lo trova “inutile". Scrive a Mariani direttore d'orchestra, che da Genova si metterà in lizza con l'impresario Jacovacci per risollevare l'opera bocciata, ma non concluderà nulla, entrambe le città venendo precedute dal veneziano San Benedetto: “La Traviata” ha fatto un fiascone e peggio, hanno riso. Eppure, che vuoi? Non ne sono turbato. Ho torto io o hanno torto loro. Per me credo che l'ultima parola sulla Traviata non sia quella d'ieri sera. La rivedranno e vedremo! Intanto, caro Mariani, registra il fiasco". Qualche delucidazione in merito offrivano invece i giornali dell'epoca. Secondo il Vigna, del periodico ricordiamo La Gazzetta musicale, l'esecuzione non aveva permesso di comprendere "il vero spirito" del lavoro. Secondo il Locatelli del quotidiano La Gazzetta, di Venezia, soltanto nell'atto di mezzo la fortuna sbandava, richiedendosi dalla musica tre cose, ”voce, voce, voce", che disgraziatamente, fatta eccezione della primadonna, erano mancate agli interpreti. Vero? Non vero? Vero che la cantilena del baritono, "Di Provenza il mare, il suoi", cantata di malavoglia dal Varesi, aveva finito col destare l'ilarità generale, come l'aveva destata la figura cicciona della Salvini Donatelli, troppo in contrasto con il personaggio della protagonista destinata a morire di mal sottile? Vero che i costumi moderni erano apparsi una stonatura e avevano ferito, per così dire, il gusto popolare degli eroi necessariamente, tradizionalmente in cuturno? Sta di fatto che nessuno degli studiosi contemporanei, nessuno dei posteri a loro volta intervenuti a sbizzarrirsi sui motivi occasionai i della burrasca, si soffermò, se non di sfuggita, sul motivo ch'era forse da ritenersi fondamentale: il dramma ossia il suo carattere insieme romantico, e per allora, spudoratamente realistico; il dramma e il suo nocciolo romanzesco, ricavato dalla storia di una cortigiana che il musicista, in una lettera allo scultore Luccardi, definisce senz'altro con crudezza da lupanare. Bisogna rifarsi ai tempi della apparizione di Violetta sulle scene. Il pubblico della Fenice non era certo quello parigino del Vaudeville. Ma è noto che poco dopo il successo del romanzo di Dumas figlio, lo stesso uditorio francese del Vaudeville aveva già manifestato i suoi pregiudizi moralistici nei confronti della Dame aux camélias convertita al teatro. Ora bisogna chiedersi perchè non avrebbe dovuto farlo anche l'uditorio veneziano nei confronti del melodramma che alla Dame si ricollega. Forse che non trapelava, il pregiudizio veneziano, dalle cronache dei primi censori Morselli e Basevi, a tacere dei verdianissimi Vigna e Locatelli, i quali accusavano un sofferto disagio, peggio, una palese irritazione per la "immoralità dell'argomento", e si indignavano per il soggetto "sconcio", e bollavano con tutto il disgusto di cui erano capaci le dottrine giudicate licenziose. e sacravano alla rinfusa contro gli importati Beyle. Balzac, Sand, Dumas e Hugo, trattanti il tema esecrando della "riabilitazione mediante l'amore"? Dunque i fischiatori della Traviata, anche se ignari di dottrine esotiche, non potevano sentire diversamente di come avevano sentito a Parigi gli scontenti della Dame teatrale e di come avevano sentito a Venezia i rappresentanti della critica musicale. Così, prima ancora di venire catechizzati sulla effettiva moralità o immoralità del libretto piavesco, e prima d'avere superato i propri incontrollati impulsi, avversi alla esaltazione inaudita d'una "pubblica" peccatrice, essi si erano ribellati. Gli era stato difficile, lì per lì, concepire una "mondana" che si mette sulla retta via per una semplice intestata sentimentale; impossibile passare sopra all'illogico spirito di sacrificio della navigatissima "signora delle camelie" che per i begli occhi d'una fanciulla sconosciuta, sorella dell'amato bene, si risolve a spezzare l'idillio appena avviato, a tornare sui luoghi della perdizione e a infamarsi nuovamente agli occhi altrettanto fascinosi del giovane gentiluomo innamorato, e ripudiato, e disperato. Ciò accade nell'atto secondo, quando il pubblico della Fenice comincia a sbalordire e più non sa contenere le sue intemperanze, sordo ai richiami che dalla Traviata sprigionavano, se non altro, per le seduzioni della musica. Ed era pure musica d'arte, tale che inonda e sommerge la materia del fatto commentato, risospingendone alle vette, deterse e purificate, le immaginarie contraddizioni. Ed era pure canto che "va nel cuore", come disse Proust, creato da Verdi quasi a superamento di sé, non eguagliato per l'addietro, se non saltuariamente, nell'ardimento delle concezioni, nell'unità dello stile, nella verità emotiva, nella novità dell'espressione incontaminata. Ma era ancora, l'intero dramma condizionante la musica, documento di umanità dettato da un'anima superiore, e specchio nel quale soltanto le anime superiori e doloranti, e per ciò stesso libere dai pregiudizi, potevano riconoscersi. Vi si riconobbero, si deve concludere, un po' in ritardo sul previsto.
FRANCO ABBIATI
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