Teatro Massimo di Palermo presenta:
Linda di Chamounix (1957)
Melodramma in tre atti di Gaetano Rossi. Musica di Gaetano Donizetti
- Interpreti principali: Rosanna Carteri (Linda) Doro Antonioli (Carlo) Annamaria Rota (Pierotto) Giuseppe Taddei (Antonio) Giuseppe Modesti (Il Prefetto)
- Maestro Concertatore: Tullio Serafin
- Regia: Franco Zeffirelli
- Maestro del coro: Giulio Bertola
- Coreografie: Carlo Faraboni
- Scene e Costumi: Franco Zeffirelli
Programma di sala (pagine 56)
- Introduzione (Eugenio Gara)
- Bozzetti delle scene
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
- Nel programma anche il balletto "Gli Uccelli"
Introduzione
Che la lettera di un artista corrisponda spesso a un particolare del suo ritratto, non c'è dubbio: artista che ha impostato, mezzo confessato. Tuttavia, chi volesse cercare nelle lettere a familiari e amici l'immagine corrente dei nostri grandi operisti dell'Ottocento, chi del rapporto fra epistolario e statua si fosse fatto un'idea troppo assoluta, andrebbe incontro a qualche sorpresa. Il distacco più forte e impensato intanto ce lo offre Donizetti. Che è poi, sia detto per inciso, dopo Verdi, il più "scrittore" di tutti: pare impossibile ma il meno vivo, tra quei sbrigativi, "spedite questo, firmate quello", è invece Rossini. Donizetti epistolografo, con le sue "bergamascate" come lui le chiamava, letteralmente butta all'aria ogni cosa: ritratti, mezzi busti e marmi interi. Perchè mentre da una parte, non fosse che per quei tre ultimi anni d'atroce agonia, saresti indotto a pensarlo come l'immagine stessa della mestizia, dall'altra, alla luce delle sue confidenze epistolari, ti si rivela per quello che realmente fu: esuberante vitalissimo, canzonatore pieno d'un suo rustico estro, ricco di sani umori che facevano subito riconoscere in lui il bergamasco di Borgo Canale, dai lontani riflessi arlecchineschi. Così lo abbiamo trovato, rileggendo, ora le lettere da lui scritte nei mesi che precedettero l'andata in scena, a Vienna, della Linda di Chamounix: sopratutto quelle indirizzate a Toto Vaselli, il cognato, suo corrispondente prediletto. In quel periodo, tra la fine del 1841 e i primi mesi del '42, a pensarci bene, Donizetti non aveva molti motivi d'essere allegro. Infatti, tanto Les Martyrs (cioè il Poliuto, per noi) quanto la Fav0rita, scritta nel '40 per l'Opéra di Parigi, gli avevano dato parecchi dispiaceri, e le recentissime Adelia e Maria Padilla, poi, erano state giudicate con crudezza per quel che erano: due cose non riuscite. Eppure Donizetti non ha l'aria di prendersela. I suoi malumori durano l'éspaee d'un matin come la rosa di Malherbes. Una scrollata di spalle e il sorriso scherzoso ritorna sul suo labbro. Questo particolare stato d'animo, insieme con una voglia matta di abbandonare almeno per un po' di tempo i soggetti truci, violentemente drammatici, gli fanno scegliere il tenero idillio della Linda, ispirato da una vecchia commedia popolare francese - La grace de Dieu - e verseggiato alla meglio, per non dire alla peggio, da Gaetano Rossi. (In qualche vecchia biografia di Donizetti è scritto che il soggetto di quest'opera fu suggerito al compositore nientemeno che da Metternich, quando Gaetano andò a trovarlo, nel marzo del '42, preceduto da una generosa, fraterna lettera di Rossini. Ma si tratta di una delle solite romanzesche invenzioni. La verità è invece che la Linda, scritta tra il gennaio e il febbraio, era arrivata prima di lui al Teatro di Porta Carinzia. Il 4 marzo 1842, infatti, egli stesso ne dava notizia al cognato: " ... l'opera mia per Vienna è finita, strumentata, ritoccata, ecc.; parte oggi per Vienna". Le caratteristiche della Linda Chamounix, le pennellate inconfondibili che le assegnano un posto speciale nella varia, coloratissima galleria di ritratti femminili donizettiani, sono due, forse anche tre. Anzitutto la fragranza primaverile, il ritorno ai cari temi di giovinezza, dopo le corrusche esperienze melodrammaticbe di un - Marin faliero -, di una - Lucrezia Borgia - di - un'Anna Bolena-, e via dicendo. Poi l'audace disegno di riprendere il motivo della follia per amore, dopo il clamoroso per molti riguardi inaccostabile precedente della Lucia. Infine, l'accentuazione alla nota patetica, affettuosa, familiare, idillica, in una posizione intermedia tra il pastorale "larmoyant" della Nina di Paisiello e l'agreste surrealismo della Sonnambula di Bellini. Tutto ciò, nemmeno a dirsi, con un piglio più confìdenziale, attraverso un lirismo istintivo nel quale è già il presagio dell'imminente esperienza naturalistica. Sotto questo aspetto il musicista della Linda, e solo un poco meno della Figlia del reggimento, è ancora in certo modo da scoprire. (Anche perchè si tratta di opere lasciate troppo in disparte: forse perchè richiedono grande finezza d'esecuzione, un tocco felice, uno stile senza sbavature). Subito, la sinfonia - con quel ficcante passaggio dal Larghetto all'Allegro vivace, di una così. temperata luce romantica, ci immette decisamente nel clima dell'opera. Ma saranno i canti nostalgici di Pierotto i suoi teneri echi delle cime e delle valli della Savoia, a darcene decisamente la "tinta", per usare un'insostituibile definizione verdiana. Queste canzoni, che si potrebbero meglio chiamare «lieder» italiani - "Cari luoghi ov'io passai" e "Per sua madre andò una figlia" - ritorneranno a tratti nel tessuto orchestrale, con la tecnica, per quei tempi decisamente ardita, del "leit-motiv". A suo tempo vi fu chi disse che Donizetti le aveva scritte ispirandosi a vecchie canzoni savoiarde pubblicate dal Doche nel 1822, nella raccolta La Musette de Vaudeville. Può anche darsi. La pratica dei debiti e prestiti, in arte è antichissima, e per quel quel che riguarda la musica non c'è nessuno, nemmeno Bach, nemmeno Mozart, in condizioni di poter scagliare davvero la prima pietra. L'essenziale è che l'artista faccia realmente sua, animi cioè col suo soffio e riesprima con la propria voce inconfondibile quelle stanche, dimenticate cadenze. Cosi, appunto, fece Donizetti. Ma ben sue, in ogni caso, sono poi tante stupende pagine di questa partitura: dal duetto degli amanti (A consolarmi affrettati) al canto dell'amore (O luce di quest'anima), al trafiggente (Per te mi è dolce vivere). Melodie affettuose, tra le più carezzevolì del nostro melodramma, che fecero scrivere al critico della Gazzetta di Vienna, l'indomani della prima: "Quest'opera viaggerà tutto il mondo musicale". Andò in scena la sera del 19 maggio 1842, al Teatro di Porta Carinzia, per iniziativa dell'impresario Merelli. Interpreti: la Tadolini, la Brambilla, il tenore Moriani, il baritono Varese, i bassi Dérivis e Rovere. Il compositore fu chiamato alla ribalta diciassette volte, solo o con gl'interpreti. Tra i quali primeggiò la protagonista, superando tutte le previsioni. All'editore Ricordi, Donizetti scriveva infatti il 24 maggio: "La Tadolini s'è risvegliata d'una maniera sorprendente. È cantante, è attrice, è tutto, e figurati che la si applaude al solo comparire al 3° atto. Se credi, vedrai la Linda colla Tadolini, vedrai veramente una pazza di nuovo genere, che mi è stata cosi obbediente, a piangere, a ridere, a restar stupita quando occorreva, che io stesso dico che codesta scena è al di sopra (così eseguita) di tutte le scene fatte da me per pazzi". E anche questo, della calda, impetuosa gratitudine per i suoi interpreti, è un punto da mettere decisamente all'attivo del nostro caro Donizetti. Non ce n'è molti esempi, in teatro, e vale dunque la pena di ricordarsene.
EUGENIO GARA