La Compagnia dei Giovani presenta:
Metti una sera a cena (1967)
Due tempi di Giuseppe Patroni Griffi
- Interpreti: Rossella Falk, Romolo Valli, Elsa Albani, Carlo Giuffrè, Umberto Orsini
- Scene: Pier Luigi Pizzi
- Regia: Giorgio De Lullo
Programma di sala del Teatro Duse di Bologna (pagine 4)
- Ancora un trionfo
- I prossimi spettacoli al Teatro Duse
Ancora un trionfo
Ancora un trionfo. Ancora una boccata di ossigeno per chi ama il teatro. Ed ancora I GIOVANI. Ed ancora Giuseppe Patroni Griffi. Siamo alle soglie del mito. Stagione dopo stagione si deglutisce l'amaro di copioni assurdi e rappezzati, di compagnie raffazzonate, di vecchi, decrepiti giganti che non si decidono a morire, di nuovi autori che vivono lo spazio di un mattino, di melense commediole strappalacrime, di reiterate, sbavanti forzature divistiche tanto poi ci sono I GIOVANI. I GIOVANI, che giovani non sono più se da ben tredici stagioni polarizzano l'attenzione del grande pubblico del teatro di prosa, giungono puntuali a salvare la baracca anche in questa stagione. Si dice: la crisi è superata, adesso i soldi ci sono, la gente a teatro ci va. Ma la crisi continua. Superate infatti le difficoltà finanziarie - grazie alla fame di teatro che il pubblico, il risorto, commovente pubblico disposto a farsi bidonare pur di non disperdersi ancora una volta nel narcotizzante paradiso artificiale dei grandi mezzi di comunicazione di massa, si ritrova - resta la assoluta povertà di nuove concezioni tematiche, di valide revisioni critiche, di rinnovata, cosciente avanguardia, di serietà di discorso culturale. Le eccezioni ci sono, stagione dopo stagione, ma non fanno che confermare la regola. Ci salvano I GIOVANI da tredici anni ed IL PICCOLO da venti. Strano destino che unisce due complessi anacronistici nel nome: I GIOVANI che giovani non sono più ed IL PICCOLO che è il più grande, solido, impegnato complesso stabile italiano. Ma parliamo de I GIOVANI. "METTI UNA SERA A CENA" è l'ultima loro fatica. Una commedia di grandissimo successo che ripropone all'attenzione del pubblico la formazione nota - Umberto Orsini ha già fatto parte della équipe, lo ricordate in "D'amore si muore“? - ed un autore che con la compagnia ha saldi legami non solo sul piano artistico ma anche e soprattutto per i vincoli di una lunga amicizia che data dall'ormai lontano 1958, anno in cui la compagnia mise in scena il primo lavoro teatrale del commediografo. "METTI UNA SERA A CENA" è la terza commedia di una trilogia che persegue e prosegue nell'indagine di Patroni Griffi sull'amore come componente esistenziale. Una indagine che fedele ad un suo principio soggettivo è riuscita ad inserirsi nella problematica del tempo e quindi a divenire la base per una più accurata messa a fuoco oggettiva. Oggi, come ha scritto un critico, d'amore non si muore più. In tempi di automazione, nel regno di una civiltà di cemento e di macchine, nella assoluta aridità di una vita che spegne i suoi acuti più pregni, in una realtà che non ammette fratture esistono soltanto ipotesi esistenziali. Quando anche le ipotesi cesseranno di esistere sarà la fine. La commedia di Patroni Grilfi è una ridda di ipotesi snervanti per la loro disperante ricerca, gelide nella loro ibernata sessualità, raccolta in fondo a ciascun personaggio che le manifesta per non morire. Amore, amore, amore disperatamente ma l'amore non viene ed anche quando la scintilla sembra scoccare viene subito spenta per non tradire coloro che sono vicini, IL GRUPPO, per non cessare il gioco della sopravvivenza, per non spalancare una finestra dove la luce della realtà entrando possa ferire, uccidere. In una perenne instabilità emotiva che si contrappone ad una rigida posizione intellettiva, le tragiche creature di Patroni Griffi si ritrovano in un contatto metafisica che le conduce, per l’impossibilità di sostenerlo, ad una raggelante unione di corpi, ignoti dopo il distacco. L'aridità concettuale così strenuamente voluta nega i pochi barlumi di un qualche cosa di non ben definito che potrebbe salvare, il gruppo, come un seduttore maligno, finisce per riportare a sé un nuovo convertito e tutto si ricompone. Forse ha ragione Kuprin quando dice: "l'orrore sta proprio in questo: nell'assoluta mancanza di orrore ".