OSI 85 presenta:
Misura per misura (1987)
Di William Shakespeare
- Interpreti principali: Giulio Brogi, Aldo Reggiani, Raffaella Azim, Antonio Meschini, Graziano Giusti
- Traduzione: Sergio Rufini
- Musiche: Luciano Bettarini
- Scene e Costumi: Aldo Buti
- Regia: Jonathan Miller
Link Wikipedia
1. Giulio Brogi 2. Aldo Reggiani - Foto di scena
Programma di sala (pagine 32)
- Note di regia (Jonathan Miller)
- Una piuma fa il senso (S. Rufini)
- Biografia di Jonathan Miller
- OBI 85 Produzioni teatrali stagione 1987/88
- Ricordo di Giovanni Poggiali
- Fotografie di Tommaso Le Pera
NOTE DI REGIA
Misura per misura è emersa alla giusta attenzione solo nella seconda metà di questo secolo. Considerato precedentemente un testo freddo e poco congeniale, è stato a lungo oscurato da drammi molto più popolari presso il pubblico come:
Amleto, Otello, Re Lear, Come vi piace e Sogno di una notte di mezza estate.
Molti attori, produttori e critici sono rimasti sconcertati dalla sua complessa fusione di commedia e crudeltà, e siccome nessuno dei personaggi vi risulta ovviamente gradevole, gli spettatori hanno trovato difficile ripartire le proprie simpatie. Così la commedia è stata classificata come un "problema" e poiché gli impresari e gli enti teatrali sono notoriamente riluttanti ad allestire qualsiasi cosa che il pubblico possa ritenere inquietante, Misura per misura non ha avuto una carriera felice sul palcoscenico inglese e la sua fama in Europa ha stentato ancora di più a decollare. Però questo atteggiamento sta cambiando. Le commedie problematiche di Shakespeare che comprendono, oltre Misura per misura, anche Tutto è bene quel che finisce bene e Trailo e Cressida, sono viste ormai come sfide interessanti, ed in seguito a varie produzioni di notevole successo nell'ultimo venticinquennio, si guarda a Misura per misura generalmente come ad uno dei massimi raggiungimenti shakespeariani, uguagliato soltanto dalle grandi tragedie. A parte il fatto che l'ambiguità e la complessità sono oggi apprezzate per se stesse, occorre dire che le esperienze europee degli ultimi cinquant'anni hanno conferito alle complessità di Misura per misura un fascino che gli spettatori del secolo scorso avrebbero trovato incomprensibile. Ciò in parte è dovuto al nostro essere scampati a certi regimi totalitari ed al persistere di certi altri, sì che ormai i pericoli dell'autorità e gli abusi del potere personale sono qualcosa che possiamo a prima vista riconoscere. Inoltre, le scoperte di Freud hanno fornito una capacità di penetrazione senza precedenti nei meccanismi della repressione sessuale, permettendoci di capire molto meglio e di apprezzare adeguatamente un personaggio della complessità di Angelo. Quando diressi Misura per misura per la prima volta quindici anni fa al National Theatre di Londra, Sir Laurence Olivier mi chiese di allestire una versione poco costosa adatta per una tournèe. Il finanziamento limitato rendeva impossibile disegnare ex-novo dei costumi del sedicesimo secolo, per cui fummo costretti a frugare fra gli abiti moderni che il guardaroba già offriva. Poiché Shakespeare aveva ambientato la commedia a Vienna, cercai di fare di necessità virtù, e di vedere cosa sarebbe successo qualora l'azione fosse trasposta in un mondo generico e senza data dell'Austria freudiana, usando costumi che si rifacevano al fotografo tedesco August Sanders. Nell'opportunità di rimettere in scena, oggi, questa commedia, il successo della prima produzione mi ha incoraggiato a sviluppare l'idea originaria, sposandola ad una scenografia adatta per un anfiteatro. La prospettiva radiale del Teatro Olimpico del Palladio a Vicenza ha fornito una planimetria utile da cui partire mentre, per evocare l'aspetto di una città del ventesimo secolo, ho sostituito insieme ad Aldo Buti le vedute barocche dello Scamozzi con le facciate "metafisiche" di George Grosz. Ciò crea un ambiente che ricorda la Germania di Weimare le premonizioni di fascismo puritano che permeano il dramma. C'è da aggiungere un'ironia che non avevo previsto quando fui invitato a realizzare la commedia a Verona. L'anno scorso ho curato la regia di Tosca per il Maggio Musicale Fiorentino, e poiché anche quella era progettata in funzione di uno scenario del ventesimo secolo, mi sono trovato inaspettatamente faccia a faccia con un certo parallelismo tra l'opera di Puccini e la commedia di Shakespeare. La trattativa sessuale tra Scarpia e Tosca è sorprendentemente simile all'accordo che Angelo cerca di concludere con Isabella, e benché la somiglianza finisca lì, non ho potuto resistere a sfruttare i temi musicali di Puccini. Il personaggio più problematico della commedia è forse il duca. A causa del suo ruolo come deux ex machina, si è diffusa tutta una tradizione che tende a identificarlo con Dio. Sotto l'influenza di critici inglesi come Wilson Knight, egli viene spesso raffigurato come un individuo che rivela dignità e compassione sovrumane: la personificazione vivente della giustizia che tutto vigila. A parte il fatto che questo tipo d'interpretazione rende difficile per un attore recitare la parte del duca senza risultare al tempo stesso noiosamente romantico e quasi senza personalità, stento a credere che Shakespeare intendesse porre qualcuno dei suoi protagonisti al di sopra dell'esistenza di questo mondo. I suoi drammi sono coerentemente terrestri ed il duca viene subito identificato come un mortale non infallibile, alla pari di qualsiasi altro in questa commedia riccamente enigmatica. Le sue attività da "duca degli angoli bui" diventano, a dir poco, discutibili poiché anche ammesso che egli fosse Dio, il giocare in maniera cosi intrigante e manipolatoria con le faccende umane, non è un privilegio da accordare alla gente comune e tanto meno, forse, ai detentori del potere. E possibile perdonare il duca per aver messo alla prova i suoi sudditi così spietatamente? Anche se tutto sembra conciudersi per il meglio, non è ingenuo sostenere che tutto è bene perché finisce bene? Il fine non giustifica i mezzi, come ben sanno gli spettatori di questo secolo, ed è alla luce delle nostre esperienze che questa particolare commedia ci appare oggi molto più interessante di quanto non lo sia stata per i nostri predecessori relativamente recenti.
JONATHAN MILLER