Piccolo Teatro della Città di Milano presenta:
Re Lear (1973)
Di William Shakespeare
- Interpreti principali: Tino Carraro, Ottavia Piccolo, Renato De Carmine, Carlo Cataneo, Carlo Simoni, Ivana Monti
- Traduzione: Angelo Dallagiacoma - Luigi Lunari
- Musiche: Fiorenzo Carpi
- Scene e Costumi: Enzo Frigerio
- Regia: Giorgio Strehler
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Tino Carraro - Foto di scena
Programma di sala (pagine 68)
- Stagione 1973/74
- Re Lear le fonti (A. Dallagiacoma)
- Il re sulle scene (L. Lunari)
- Appunti per il Re Lear (G. Strehler)
- Il piccolo dal 1947
- Fotografie di Luigi Ciminaghi
... La scena: un teatro-mondo. Un luogo-teatro che diventa mondo: un circo-mondo. Una pista, una cosmica pista per una rappresentazione di vita e storia. Una scena vuota e faticosa: desolata. Una superficie tragica, fangosa, primordiale, in cui si cammina a fatica. In cui si affonda con i piedi, in cui ci si insudicia quando si cade. Su questa « terra» poggiano le precarie regge che i «servi» allestiscono per i potenti: fragili come le passerelle gettate sull'abisso, o le povere tavole in precario equilibrio per i giochi dei pagliacci o di abilissimi acrobati per i salti mortali. I «servi" sono il barlume del lavoro che può fare la terra. Da loro (pochi) vengono i pochi gesti «umani» di pena e di rivolta. Intanto i potenti mutano. Alcuni spariscono, muoiono, uccidono e sono uccisi, senza speranza né salvezza, chiusi in un loro mondo logico e stravolto dal potere, dalla sua conquista. Altri percorrono il difficile, lungo cammino della conoscenza attraverso un dolore ora disperato, ora grottesco. Alla fine capiscono, in qualche attimo tutto, in qualche altro a barlumi, a baluginii di conoscenza, E tra questi il «vecchio» re: l'ottuso, prepotente amministratore del potere, travolto da uomini nuovi; che l'amore e la sofferenza fanno rinascere alla pratica saggezza della comprensione umana, dopo il lungo travaglio del dolore fisico e morale, e il trauma della pazzia. Un enorme allegoria della vecchiaia. del dolore che fa ciechi e restituisce all'essenziale l'osso di seppia dell'animo umano: allegoria della storia dell'uomo ... A questo - e a tanto altro, intuito soltanto o sollevato a coscienza critica - mi ha portato il mio modo di lavorare: come sempre, il rifiuto di un approccio soggettivo che per quanto si impegni in un'indagine critica procede pur sempre da una angolatura violentemente unilaterale; e una ricerca invece «tendenzialmente oggettiva», un'esplorazione del testo in tutte le sue sfaccettature, una lettura quanto più possibile «esauriente ». Può essere, la constatazione «ultima», che Re Lear sia fuori della storia? Fuori della nostra storia contingente e riconoscibile, piuttosto! Fuori della «memoria d'uomo»; come fuori del tempo, in pratica, l'ha posta Shakespeare. In «questa” storia è impossibile rinchiudere il Lear; ma non dalla «radice» della storia; non dall'intima essenza dei suoi meccanismi, dalla sua logica, dal suo senso ultimo e più vero di cammino dell'uomo; di destino dell'uomo che l'uomo travolge ma che alla fine l'uomo non potrà non dominare, dovesse anch'egli passare ancor più addentro per il dolore, fisico e morale, e subire il trauma della pazzia ...
GIORGIO STREHLER