Piccolo Teatro della Città di Milano presenta:
Vita di Galileo (1963)
Due tempi, 13 quadri di Bertolt Brecht
- Interpreti principali: Tino Buazzelli, Walter Festari, Renato De Carmine, Luciano Alberici, Umberto Ceriani, Gabriella Giacobbe, Cesare Polacco, Gianfranco Mauri, Fedinando Tamberlani, Giulia Lazzarini, Vincenzo De Toma, Armando Alzelmo, Ottavio Fanfani
- Traduzione: Emilio Castellani
- Musiche: Hans Eisler
- Scene e Costumi: Luciano Damiani
- Regia: Giorgio Strehler
Link Wikipedia
Tino Buazzelli - Foto di scena - bozzetti scene e costumi - Bertolt Brecht
Programma di sala (pagine 36)
- Perché un Piccolo Teatro
- Il Galileo di Brecht
- Biografia di Brecht e Galilei
- Brecht su "Vita di Galileo"
- La questione copernicana
- Il cast
Il Galileo di Brecht
“Vita di Galileo” di Bertolt Brecht non è un dramma storico. Non lo è perché non si prefigge né approda ad una rigorosa riproduzione di un certo mondo del passato e di un certo evento storico; ma non lo è neppure nel senso in cui non lo sono le cronache di Shakespeare: libere narrazioni di eventi tramandati, senza un particolare impegno archeologico, ma anche senza il preciso proposito di servirsi del passato come di un modo per parlare al presente. L'interesse che Brecht nutriva per la storia non era secondo l'espressione di Ernst Schumacher un “interesse puro” e ciò che soprattutto lo interessava, nelle vicende di Galileo, era evidentemente la loro rispondenza a vicende ben più attuali. Ciò non significa beninteso che alla base dell'opera di Brecht non vi sia una profonda conoscenza storica dell'uomo Galileo e del suo tempo, né può escludere che, alla fine, dal quadro che egli traccia emerga una precisa valutazione oggettiva, un preciso giudizio sull'uno e sull’altro. Ciò posto, l'attenzione di Bertolt Brecht era tutta rivolta alla contemporaneità e ai problemi del suo tempo. Di più: il motivo ispiratore stesso è nell'attualità e non nelle vicende storiche, come è provato dal fatto che la figura di Galileo nella mente e nell'opera di Brecht subì nel corso degli anni profonde trasformazioni in diretto rapporto con le trasformazioni che avvenivano intanto nel mondo.
La prima interpretazione: l'abiura come espediente
Il primo Galileo nacque nel 1938-39 in Danimarca, ove Brecht si trovava in esilio dopo aver lasciato cinque anni prima la Germania nazista. In Germania si era ormai conclusa la battaglia per la “nazificazione della cultura” iniziatasi il 10 maggio del 1933, poche settimane dopo la partenza di Brecht, con uno spettacolare rogo che aveva distrutto simbolicamente le opere più valide del pensiero tedesco e europeo contemporaneo. Su questa situazione Brecht modellò il suo primo “Galileo” con l'intenzione di offrire un esempio di come poteva essere condotta la lotta dell’intellettuale contro l'oppressivo regime nazista. Sotto questo profilo, Galileo anticipava, sia pure ad un ben diverso livello e con piena conoscenza, l'efficace politica di non resistenza del bravo soldato Giuseppe Schweyk. E' il Galileo che abiura, ma che appena ha abiurato mormora “Eppure si muove”; è il Galileo che abiurando ha potuto scrivere i Discorsi sulle nuove scienze, che ha sacrificato momentaneamente il proprio orgoglio per il bene della scienza e della verità, così come Schweyk collaborando o fingendo di collaborare sopravvive all'oppressore e si ripropone come terreno fecondo per la liberazione. È’ significativo notare per altro che questa interpretazione della figura di Galileo non si realizzò mai compiutamente sulla carta e che esistono precise divergenze tra gli appunti di Brecht precedenti alla prima stesura, nei quali non vi è alcun dubbio sulla positività di Galileo, autentico eroe popolare ed efficace lottatore clandestino, e la prima stesura stessa, nella quale la figura dello scienziato è considerata criticamente e l'abiura getta un'ombra su tutto il suo comportamento. “A soppesare bene tutti i pro e i contro - dice Galileo - si deve concludere che se mi sono sottomesso è stato soltanto per la grande paura della morte”. L'abiura è dunque un tradimento, anche se è solo un tradimento verso se stesso, di cui la storia potrà non tener conto e, che dà comunque effetti positivi, poiché - come Andrea conclude – “il rumore del crollo fu molto più forte del chiasso delle macchine dei muratori durante tutto il tempo della costruzione. E il polverone causato dal crollo fu molto più alto della torre stessa. Ma quando la polvere si diradò si vide che erano crollati solo i dodici piani superiori. I trenta piani inferiori erano ancora in piedi e si poteva ricominciare a costruire”.
La versione definitiva: l'abiura come tradimento
Il secondo “Galileo” nacque in America nel 1947 e Brecht ce ne lasciò due versioni leggermente diverse tra loro nella lettera, ma identiche nello spirito. Esteriormente il secondo “Galileo” non presenta molte differenze rispetto al primo: il solo mutamento sostanziale riguarda la scena tredicesima, nella quale il vecchio Galileo, semicieco e prigioniero dell'Inquisizione, chiarisce ad Andrea Sarti la sua posizione nell'abiura e dopo. Galileo ha abiurato per paura del dolore fisico, e l'idea che abiurando avrebbe potuto continuare a lavorare, non gli si è affacciata alla mente neppure come giustificazione a posteriori. Il suo ritorno alla ricerca scientifica - quella ricerca che gli frutterà “I discorsi” - non ha avuto il senso di una prosecuzione della lotta nella clandestinità, quanto di un cedimento ad un impulso irresistibile e fine a se stesso; la ricerca è per lui ormai un vizio, cui egli indulge di nascosto per un egoistico bisogno di sapere, per curiosità, ma non si propone nessun fine pratico e morale che la superi e la nobiliti. L'antica interpretazione machiavellica ed utilitaristica è ancora presente nelle parole di Andrea Sarti, che oppone all'autocritica di Galileo, i risultati comunque tangibili e positivi della sua abiura: “La scienza non ha che un comandamento: contribuire E voi lo avete assolto meglio di chiunque altro da cento anni a questa parte”. Ma nessuna giustificazione – è lo stesso Galileo a rispondere - è possibile; il suo tradimento non si è rivolto solo contro se stesso, ma contro la scienza, poiché egli ha rinunciato a svolgere - come avrebbe potuto se avesse accettato l'alleanza della nascente classe borghese e del nuovo: spirito liberale - le implicazioni della sua scoperta sul terreno del progresso pratico e della stessa lotta sociale. Di fronte a questa rinuncia poco vale l'aver scritto “I discorsi “; nessuna scoperta scientifica può essere un progresso se disgiunta dalle sue pratiche applicazioni; e solo la qualità di queste pratiche applicazioni potrà definire il progresso compiuto e se di progresso si tratta. “Se io avessi resistito - dice Galileo - forse i fisici avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici fu il giuramento d'Ippocrate: un voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell'umanità!... E invece sono stato solo capace di mettere la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero o non la usassero o ne abusassero a loro piacimento. Ho tradito la mia professione”.
La responsabilità della scienza
Abbiamo detto all'inizio che le ragioni ispiratrici di Brecht non sono mai nella storia ma nella contemporaneità. Così, la profonda trasformazione della figura di Galileo dalla prima alla seconda versione, non è il frutto di una revisione, di un ripensamento della realtà storica di Galileo e del suo tempo, ma è il riflesso dei fatti nuovi che si erano andati nel frattempo determinando; e non occorrono certo molte parole per chiarire come il secondo “Galileo” sia nato sotto la profonda impressione causata in Brecht dallo scoppio di Hiroshima e, prima ancora, dalla fissione dell'uranio, di cui ebbe notizia mentre ancora si trovava in Danimarca. Il primo “Galileo” nasce dunque nel quadro della resistenza al nazismo, il secondo nasce nel quadro dei problemi che l'energia atomica apriva alla scienza ed all'umanità. Ancora una volta, alle soglie di un'epoca nuova, di fronte ad un bivio che propone la scelta tra un nuovo, più alto grado di benessere, e l’autodistruzione, lo scienziato è posto di fronte alle proprie responsabilità ed al problema dei fini della sua professione. A queste responsabilità e a questi fini si richiama “Vita di Galileo” nella sua definitiva versione. La sua origine più vera non è forse tanto nel primo “Galileo” - il cui accostamento par quasi gratuito e fondato su elementi esteriori e casuali - ma in un dramma su Albert Einstein, per il quale Brecht si documentò durante l'esilio in Danimarca e del quale poi non si è saputo più nulla.