La Compagnia del Teatro Eliseo di Roma presenta:
Volpone (1986)
Di Ben Jonson
- Interpreti: Tino Carraro, Umberto Orsini, Pietro Biondi, Gianni De Lellis, Sergio Reggi, Valentina Sperlì, Nanni Tormen, Giorgio Gobbi, Aldo Vinci, Luigi Bagnato, Ugo Francica Nava, Pier Francesco Mazzoni, Roberto Cerini, Michele Lattanzio
- Traduzione: Luigi Lunari
- Musiche: Giorgio Carnini
- Scene e Costumi: Paolo Tommasi
- Adattamento e Regia: Gabriele Lavia
Link Wikipedia
Umberto Orsini - Tino Carraro - Foto di scena
Programma di sala (pagine 64)
- Cronologia della vita di Ben Jonson
- Introduzione allo spettacolo (Luigi Lunari)
- L'anno del Volpone
- Produzione della Compagnia dal 1977
- Teatro Eliseo - Piccolo Eliseo
- Il cast
- Fotografie di Tommaso Le Pera
Introduzione
In quella che fu la grande e forse irripetibile fioritura del teatro elisabettiano e giacomiano, accanto alla predominante e misteriosa figura di Shakespeare, al geniale e sregolato Marlowe, al tragico e sottile Ford, e ai tanti altri di più o meno marcata individualità, Benjamin Jonson è stato consegnato alla storia legato all'elogio che si trova inciso sulla sua tomba nell'abbazia di Westminster: “O rare Ben Jonson” dove “rare” suona, se non inimitabile, certamente - prezioso, ricercato - forse anche elegante. Questa “rarità” è in prima istanza un tributo alla sua raffinata cultura. Una cultura non nascosta, come quella di Shakespeare, sempre celato dietro i propri personaggi, sempre annullato dietro le storie narrate, con quel disimpegno dell'anonimato che è una forma suprema di giustizia poetica e una delle ragioni della sua imperscrutabile grandezza; bensi una cultura affermata ed esibita, socievole fino alla mondanità, posta al servizio della società e del proprio posto in quella società, usata professionalmente per ottenere vantaggi, promozioni, stima, guadagni... Ben Jonson fu autore di corte, Poeta Laureato: autore di quei “masques” che offrivano, su un'esile trama allegorica, mitologica ed eroica, l'occasione per lusingare l'occhio e l'orecchio di una nobiltà in cerca di raffinatezze e di eleganze esteriori. Una forma d'arte ai nostri occhi “minore”, che se da un lato ereditava l'antico gusto per i cortei, per i carri, per i “pageants”, dall'altro lato inaugurava un uso cortese che troverà il suo massimo momento - o il suo momento comunque più sfarzoso - nelle commedie - balletto del Re Sole. Fu anche, Ben Jonson, autore di tragedie neoclassiche quali “La caduta di Seiano” e “La congiura di Catilina”, in cui predominava la sua cultura di studioso dei classici e di sorvegliato c'ultore delle antiche forme. Se i masques gli dettero l'appoggio e la stima della società che conta e dei detentori del potere, cosi utili in questo difficile mondo, le tragedie gli assicurarono la considerazione e l’ammirazione degli ambienti culturali e accademici; e non solo contemporanei, peraltro, se ancora nell'Ottocento un critico e - uomo di teatro - attento e aperto come William Hazlitt giudicava queste tragedie la parte migliore della sua opera. Vi è infine il Ben Jonson che conosciamo: l'autore comico, cui si devono “Volpone, L'alchimista, La fiera di San Bartolomeo”. Poiché se i masques sono stati ingoiati dal tempo, assieme alla società che avevano la funzione di divertire e vellicare, e le tragedie si sono coperte di una polvere che solo l'interesse dello specialista rimuove di tanto in tanto, è proprio alle commedie che è legata la sua attualità e la sua non trascurabile presenza sui palcoscenici del nostro tempo. Forse questa è la parte della sua opera che gli costò meno tempo e meno fatica: scritta in un – volgare - meno impegnativo delle raffinate ricercatezze dei masques o delle ponderose profondità delle tragedie, ma, sia chiaro, solo perché ispirata felicemente e spontaneamente alla tangibile realtà della vita quotidiana, con tutti i suoi umori provocanti e stimolanti, e nata dunque di getto, se è vero che “Volpone” fu scritto in cinque settimane. Meno impegnativa dunque, ma non certo meno impegnata; poiché è qui che la cultura di Ben Jonson si pone al servizio dell'osservazione del reale, e in ultima analisi anche del grande pubblico nazionale e popolare, al quale non giungevano i masques e al quale poco interessavano i problemi di Seiano: è qui che Ben Jonson ci parla veramente e profondamente di sè e del proprio mondo. Di queste commedie “Volpone” è forse il momento più alto, certamente l'opera più frequentata dal palcoscenico del nostro secolo, oggetto a volte di vere e proprie “mode”, come ad esempio - e certo non a caso - nel periodo tra le due guerre, quando fu riproposta in tutta Europa nelle versioni di personalità eterogenee ed aperte come Stephan Zweig e Jules Romains. Le ragioni della sua persistente fortuna - cosi come quelle di questa sua riproposta odierna - sono più evidenti alla prova scenica che non alla lettura. È infatti la tragedia dell'autore comico, che le sue opere si appesantiscono con il passare del tempo per la progressiva incomprensibilità delle allusioni, degli ammiccamenti, delle situazioni e dei personaggi presi di mira. Così “Volpone” è, nella sua formulazione integrale, certamente irrapresentabile e largamente illegibile; e questo spiega perché esso giunge alle scene sempre “mediato” da una revisione più o meno profonda, che lo spogli di quanto non passa la ribalta, per evidenziarne invece quelli che sono i valori essenziali e non transeunti. È il caso anche di questa riproposta, che punta a conservare la lapidaria emblematicità della vicenda, la sua spietata e sarcastica violenza, la complessa verità umana dei personaggi, la feconda analisi dei loro rapporti con tutte le loro suggestive ombre, per farne uno “spettacolo” che rechi i segni non tanto del tempo di Jonson quanto di un'universalità senza limiti di data che non sia quella del momento in cui lo spettacolo stesso si consuma, e sulla scena narrano gli eventi che Ben Jonson narrò.
LUIGI LUNARI