Teatro alla Scala di Milano presenta:
Don Carlos (1963)
Opera in cinque atti di Froncois-Joseph Méry e Camille Du Locle. Versione italiana di A. De Lauziéres e A. Zanardini - Musica di Giuseppe Verdi
Interpreti principali: Leyla Genger (Elisabetta di Valois) Fiorenza Cossotto (Eboli) Ettore Bastianini (Rodrigo) Bruno Prevedi (Don Carlos) Nicolai Ghiaurov (Filippo II)
- Maestro Concertatore: Gabriele Santini
- Regia: Margherita Wallmann
- Maestro del coro: Roberto Benaglio
- Bozzetti e figurini: Georges Wakhevitch
- Direttore allestimento: Nicola Benois
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- 1.Genger. 2.Cossotto 3.Bastianini 4.Prevedi 5.Ghiaurov 6.Santini 7.Wallmann 8.Benaglio
Programma di sala (pagine 30)
- Prima rappresentazione 12 dicembre 1963
- In tutto il Don Carlos già quasi tutto Verdi (Emilio Raius)
- Bozzetti dellle scene
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
In tutto il Don Carlos...
Il Don Carlos, scritto proprio per l'Opéra di Parigi, fu rappresentato per la prima volta la sera dell'11 marzo 1867. Dal punto di vista del teatro d'opera, che cosa era il 1867? Stava tra le prime della Mignon di Thomas, di Tristano e Isotta di Wagner, dell'Africana di Meyerbeer, avvenute rispettivamente nel 1866 (Mignon) e nel 1865, e la prima della Forza del destino ('riformata') dello stesso Verdi (1869). Verdi era ancora in piena attività; nel 1871 doveva far rappresentare l'Aida al Cairo: la sua grande pausa operistica sarebbe cominciata dopo. Per l'Opéra di Parigi aveva scelto un soggetto che conveniva poco all'ambiente: una storia terribilmente spagnolesca, tratta dei cupi fasti di Filippo II. Il libretto glielo avevano fornito, traendolo da Schiller, Joseph Méry e Camille Du Lode. Per accontentare il pubblico parigino, che amava i grossi spettacoli screziati, si erano introdotte nel buio dramma la solite danze. E certi episodi avevano lo scopo di rompere la staticità e la monotonia dei cinque atti. Giuseppina Strepponi poi, la moglie del maestro, buona conoscitrice del pubblico come ex-cantante, aveva probabilmente dato al marito il suo parere; tanto più che non si trattava più di un melodramma all'antica ma di una specie di opera-poema col quale Verdi sperava di appagare i gusti della gente senza arrendervisi e senza essere accusato di wagnerismo. Ci riuscì? A Parigi il successo non fu indiscutibile. Colpa del libretto, in gran parte. Don Carlos, Infante di Spagna, ama riamato la principessa Elisabetta di Valois. Quasi alla vigilia delle nozze, il re di Francia concede invece la mano di Elisabetta, per ragioni di Stato, a Filippo II, padre di Carlos; ed Elisabetta, non potendo fare altro, si rassegna. Qui incomincia il dramma: affetti, avventure, reazioni, tutto è normale per il teatro d'opera. Don Carlos però si rassegna meno: deciso ad andare a combattere in Fiandra, confida il suo amore per la regina all'amico Rodrigo marchese di Posa e poi gli dà un biglietto da consegnare ad Elisabetta. Nel biglietto egli le chiede un ultimo appuntamento. Elisabetta lo riceve ma non gli consente di parlarle d'amore; o non glielo consentirebbe, se il melodramma, sia pure riformato, non avesse le sue esigenze di espansione lirica. Fin qui sempre nella normalità. Bisogna tuttavia fare i conti con un personaggio come Filippo II. Questi è geloso perché è spagnolo ed orgoglioso perché re di Spagna; è scaltro, sa fingere; fa indagare ed indaga. Si aggiunga la presenza della principessa Eboli, donna di vario cuore, la quale, palesando il suo amore per Carlos, si accorge che Carlos continua ad amare Elisabetta; se ne tormenta, pensa di vendicarsi e si vendica consegnando a Filippo le prove della passione che unisce l'Infante alla Regina. Intanto sono passati sul palcoscenico alcuni condannati al rogo. E Carlos, a motivo di un'umiliazione inflittagli dal padre, ha sguainato la spada ed è stato disarmato dall'amico Rodrigo. La situazione diviene sempre più verdiana e sempre meno parigina. Filippo, roso dalla gelosia, chiede il parere del Grande Inquisitore, in una della più geniali scene dell'opera, quella dei profondamente disperati suoni del controfagotto usato da Verdi in un'altra opera sola, il Macbeth (come si è accertato pubblicamente al tempo di una fortunata rubrica televisiva). Il Grande Inquisitore ha sue gagliarde e scure ragioni per indurre il sovrano a far arrestare il figlio. Duetto gigantesco, dove massimi sistemi si scontrano in un'atmosfera morale sublime e sconsolata. Nulla di più agghiacciante di quel motivo di bassi: forse soltanto nella Messa di requiem e forse nemmeno in essa. Ogni parola sale in alto sulle ali del canto per ricadere meglio nei cuori sgomenti. Siamo davvero in un mondo di titani incatenati alle loro passioni. Il duetto è preceduto dall'aria regale, e regale in ogni senso, "Dormirò sol", dove il dolore dell'uomo deluso da tutti i suoi simili e dalla vita si allarga come nei pensieri di Pascal; e con l'immediata efficacia che gli danno tutte le risorse vocali e strumentali della musica. Gli effetti degli archi di rado sono stati ugualmente interiori nelle opere precedenti di Verdi, che pure ne comprendono di eccelsi. È un'aria che avvolge come un mantello apocalittico tutti gli ascoltatori, con qualunque intenzione essi siano venuti a teatro; un'aria che trascende ogni interesse melodrammatico e porta su su con artigli d'aquila. Non è possibile non rabbrividire; e non sentirsi poi rassicurare dalla forza di un'arte prodigata con un ardire simile. Senza dubbio uno dei maggiori colpi del genio di Verdi. La principessa Eboli, personaggio di un'originalità addirittura rischiosa, nel suo ora sottile ed ora brioso gioco di sensi e di affetti, si pente della sua cattiva azione e va a chiedere perdono alla regina, che le ordina di ritirarsi in un convento. Non è una donna troppo patetica e troppo galante per una conclusione come questa? Assistendo alla rappresentazione del Don Carlos integrale si studi un po' questa figura che cela ancora qualche segreto del Verdi non più giovane e non ancora vecchio, di un Verdi ormai meditante sulle vanità del mondo e pure ancora attratto dalle grazie della donna, di un Verdi in bilico tra sensualità ed ascesi artistica. Si consideri per esempio il passaggio dalla piacevolezza alquanto frivola alla tenerezza della donna forse più invaghita che innamorata; e quelli dalla commozione al turbamento, dal turbamento al dolore cocente e all'ira, dal dolore cocente e dall'ira al caldo rimorso, all'ansia della riparazione, a un più puro sentimento d'amore. Quella della principessa Eboli è una delle anime verdiane più variegate; e vocalmente più sorprendenti. Ci sono in essa verità di vita, molta arte, non pochi eleganti artifici. Per Don Carlos non c'è più nulla da fare. Invano Rodrigo gli annuncia la liberazione: Rodrigo viene ucciso con una fucilata da un sicario. Il re, a dire il vero, vorrebbe ridare la libertà al figlio; ma il popolo si solleva in favore dell'Infante, interviene di nuovo il Grande Inquisitore, Filippo sorprende Carlos ed Elisabetta e non capisce che essi stanno sacrificando per sempre il loro amore per un superiore sentimento del dovere. A questo punto appare un'ombra da colpo di scena, l'ombra di Carlo V, che apre a Carlos il mausoleo del chiostro di San Giusto e ve lo rinchiude. Finale quasi da Don Giovanni: Carlos, può domandarsi lo spettatore, perirà o passerà il resto della vita nel saio del fra te? Questo Carlos è il protagonista e non è il protagonista dell'opera. Non la figura più potente; non originale come Filippo II, il Grande Inquisitore nonagenario e cieco, la principessa Eboli, il marchese di Posa. Fa duetto con Elisabetta, altra figura non tutta fuori della convenzione melodrammatica. I due innamorati non mancano però di accenti nuovi. Solo che il loro amore è soffocato dalla imperiosa necessità che Verdi ebbe di rappresentare passioni dinastiche, politiche, religiose, caratteristiche del suo secolo; e di rappresentarle in forme strumentali e vocali rinnovatrici, rinunziando ai vecchi accompagnamenti, ai recitativi buoni per tutte le occasioni e a quei pezzi chiusi e staccati che non contribuiscono all'unità di azione e di espressione: perché in realtà i pezzi chiusi, comprese le cabalette, li conservò così modificati. La veste orchestrale riuscì quale doveva essere per un pubblico chic come il parigino. Altro strumentale, altre modulazioni, altre armonie. Nel Don Carlos, non diciamo proprio per la prima volta nell'arte di Verdi, si sente la musica frusciare, preannunciare la più morbida scuola francese. Le femmine qui vestono come le signore della buona società, e non come le eroine dei melodrammi: vogliamo dire che possono anche far venire cattivi pensieri e non esclusivamente pensieri buoni. Donde quel certo grado di ambiguità sentimentale, tipico appunto della successiva opera francese, eccettuato il migliore Bizet, che affiora nelle pagine non nere del Don Carlos. E il possente contrasto tra l'immobile fatalità e la fluttuante umanità dell'arte di Verdi. Il Don Carlos Verdi lo rielaborò più di una volta. (I) Tra il 1883 e il 1884 lo ridusse a quattro atti sopprimendo le danze, sacrificando le belle melodie del primo atto (questa sera si sentiranno) sfrondandolo non sempre felicemente. Nel 1887 ripristinò il primo atto e mantenne i miglioramenti introdotti nella seconda versione. Si può anche preferire il secondo Don Carlos al primo: il secondo è più semplice e quindi più svelto. Ma il primo ci insegna molte cose circa un periodo casi importante e casi delicato della vita artistica di Verdi. È un grande spettacolo per tutti ed è una lezione preziosa per le persone colte. L'idea di rappresentare l'edizione nei cinque atti originari era stata una lodevole idea di Toscanini, realizzata nel 1926, alla quale la Scala è ritornata nella stagione 1960-61 e rimane fedele nell'attuale ripresa (2). Lasciamo che Giuseppe Verdi apra il suo mantello in tutta la sua vastità ed abbracci ancora una volta con esso tutte le gioie, tutti i dolori, tutte le illusioni e tutte le delusioni della umanità.
(') Poiché in molti teatri l'opera veniva tagliata “ferocemente”, Verdi decise d'intervenire lui stesso per ”Consentire al pubblico d'andar presto a letto". Alla Scala la prima dell'edizione parigina in 5 atti era apparsa il 15 marzo 1868 ("So che il Don Carlos ha fatto furore a Milano, ne godo per Voi e per Verdi” aveva scritto Rossini a Ricordi); l'edizione in 4 atti fu messa in scena dal Maestro il lO gennaio 1884, direttore Faccio.
(') Con Toscanini nel 1926 cantavano la Scacciati, la Cobelli, Trantoul, Galeffi, Pasero, Marone. Nell'allestimento del dicembre 1960 dirigeva Santini, la regia era della Wallmann, scene e costumi di Wakhevitch, gli interpreti principali la Stella, la Simionato, Labò, Bastianini, Christoff come Filippo, Ghiaurov come Grande Inquisi tore.
EMILIO RADIUS