GINO ROCCA è nato a Mantova nel 1891; ma è veneto. La sua prima commedia è veneziana e fu scritta per Ferruccio Benini, che la rappresentò al Kursaal Diana di Milano nel 1912. Benini aspettava il capolavoro, e Gino Rocca, ospite del grande artista a Conegliano, cominciò a scrivere "le Piegore" che dovevano essere rappresentate a Roma e che la guerra e la immatura fine dell'interprete troncavano a metà. La sua infanzia e la sua prima giovinezza trascorsero a Venezia ed a Treviso, dove si licenziò dagli studi liceali per tuffarsi nella vita goliardica torinese, seguendo i corsi di giurisprudenza in quella università. Erano i tempi di Sandro Camasio e di “Addio giovinezza!” Qualche cosa di quella vita e di quei tempi è rimasto nel carattere e nell'arte di Gino Rocca: c'è in lui quell'atteggiamento spavaldo e sentimentale, giovanile sempre e irruente, che rese tanto popolare e simpatico il protagonista dell'Uragano. Lasciò il diritto; e fu giornalista, critico drammatico al Popolo d'Italia. Partì per la guerra, e cadde due volte ferito, con i granatieri, ad Oslavia e sul Carso, raggiungendo il grado di capitano. Capitano, fu al Comando della IV Armata, dove, diede l'opera sua alla compilazione di un giornale di guerra “La Trincea” Ora ha ripreso il suo posto di critico; ha conosciuto le gioie del più vivo successo con il suo romanzo “L'uragano”, ha finito di scrivere “I canestri azzurri” in tre atti per Dina Galli; prepara un romanzo nuovo “Capelli corti” e - come scrisse Sabatino Lopez nella prefazione di quelle otto trame che videro la luce prima del romanzo – “lavora, si diverte e sorride sempre”. Egli si preoccupa, sopra tutto; di guadagnare il tempo perduto nella lunga parentesi sanguinante della guerra; poi che, dal lieto successo ottenuto con Ferruccio Benini interprete del “Sol sui veri”, “Le liane” soltanto lo riconducono più maturo al fuoco della ribalta dopo sei anni di silenzio.
LE LIANE - dramma in tre atti di Gino Rocca
Rappresentato per la prima volta il 7 maggio 1920 al Teatro Argentina di Roma dalla Compagnia Talli - Melato - Betrone.
Personaggi: OTO - RICCARDO - MADAMA - MALVI - BOCUOIE'
Oggi - al Congo
L'alta veranda dinnanzi a una casa di legno. Il tetto della casa copre tutta la scena. Dal tetto scendono, fino alla rozza balaustra della veranda, in fondo, alcuni teli pesanti a striscie gialle e bianche e coprono la visione della foresta. Sopra l'architrave della porta chiusa, a destra, è inchiodato un teschio di daino. Una rozza tavola e nel mezzo: ci sono intorno alcune sedie di vimini. Tra una colonna e l'altra, attraverso un angolo della veranda, è tesa un'amaca. Si sale dalla radura, che è intorno alla casa, per una piccola scala di legno che la balaustra accompagna, a sinistra, e che geme ad ogni passo.
ATTO PRIMO - Il tramonto
Un calamaio, alcuni fogli ed un registro sulla tavola. E' più fitta, nella veranda chiusa e vuota, la prima ombra del tramonto, che fa rosseggiare e trasparire la grossa trama dei teli, di là, Bocuoiè sale dalla scaletta lentamente. E' un nero tarchiaio taciturno, un po' truce. Le maniche della sua camicia sono rimboccate fin sopra i gomiti. Una fascia di lana rossa gli serra la cintura. I larghi pantaloni chiari si aprono sul malleolo, lasciano intravvedere la caviglia sottile e coprono, a campana, i sandali ci cuoio gaillo. Egli si avvicina alla tavola, vi depone un foglio piegato che aveva nella cintola. Butta uno sguardo sulle altre carte sparse: sorride e gli si scoprono i dentì bianchissimi e saldi. Poi spalanca la veranda sulla foresta attorcigliando i teli intorno alle colonnine. Sulle cime degli alberi sanguina un tramonto equatoriale, senza nubi. Riccardo appare sulla soglia della casa: le mani in tasca, la sigaretta tra i denti, gli occhi fissi nel tramonto, aspetta che Bocuoiè finisca di attorcigliare i teli. Poi siede sull'orlo della tavola consultando alcune carte. E' a capo scoperto, un po' brizzolato, bronzeo, robusto, sbarbato. Indossa una larga giacca di panno, sotto la quale appare una camicia candida ed una cintura di cuoio. C'è nella sua disinvolta trascuratezza, nella sua semplicità, anche nella sua rudezza, un'istintiva eleganza che appare subito. Calza gli stivaloni; aggrotta Ie sopracciglia, parlando, come chi mediti pmima di dire o si preoccupi di tradire con gli occhi il proprio pensiero.
RICCARDO - (A Bocuoiè). Oto?
BOCUOIE' - Non so, liutenà.
RICCARDO - Le casse sono state portate tutte verso Ia riva del fiume?
BOCUOIE' - Tutte.
RICCARDO - Quante erano?
BOCUOIE' - Oto sa. Io non so, liutenà.
RICCARDO - Ed i mercanti? Hanno, deciso di partire all'alba?.... Non sai?
BOCUOIE' - Non so, Iiutenà.
RICCARDO - (Butta le carte con un rapido scatto nervoso e balza a terza). Pare che questa volta abbiamo una grande fretta di ripartire: Oto aveva detto che preparava le liste del carico per le quattro. (Indicando Ie carte). Qui non c'è che il visto del Governatore su di un foglio bianco.
BOCUOIE' - Sono andato a pnenderlo io, liutenà.
RICCARDO - Alla Casa Alta?
BOCUOIE' - Si.
RICCARDO - C'era Dupart?
BOCUOIE' - Sì, liutenà.
RICCARDO - Oto deve avergli spiegato ieri che ...
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