Presentare Renalo Simoni ai lettori di “COMOEDIA”, sarebbe invero imperdonabile ingenuità. Da più di vent’anni nessuna espressione d’arte apparsa sulle nostre scene ebbe più sagace, acuto e geniale commentatore di lui, prima dalle colonne del “Tempo” poi da quelle del “Corriere della sera” dov'egli, ancor giovanissimo, raccolse degnamente la formidabile successione di Giovanni Pozza, il temuto – principe – della critica drammatica italiana. Attratto istintivamente verso il teatro dal suo ricco temperamento d'arte - nel quale la delicata umanità delle commedie di Giacinto Gallina aveva ingenuamente risveglialo una più inquieta e più intensa vibrazione di sensibilità - egli si ebbe con la sua prima mirabile commedia la subito consacrazione della fama. La Vedova fa concordemente salutata al suo apparire sulle ribalte d’Italia, come la rivelazione d'un ingegno fresco, gagliardo, originale, squisitamente equilibrato per cogliere, con gli aspetti giocondi e ridevoli della vita, la sua più sottile essenza di malinconia - che è l’ironia, divina luce del mondo -; e concorse validamente a rialzare le fortune della grande Compagnia Veneziana di Ferruccio Benini e d'Italia Benini-Sambo, alle quali furono infinitamente legate le altre commedie Carlo Gozzi, Tramonto, Congedo, con cui il Simoni venne successivamente e felicemente esplorando il campo della sua fantasia. Poi, proseguendo su più vasta trama il sapiente disegno che già aveva guidalo il suo Carlo Gozzi, egli riprese con Ugo Ojetti la maliziosa ricostruzione del bel settecento galante veneziano attorno alla pittoresca ed avventurosa figura di Giacomo Casanova la quale, segnata da luminosi sprazzi di genialità interpretativa da Armando Falconi, non si può dire che sia stata però, ancora colta e resa pienamente nel suo ricco, complesso e volubile gioco d’espressione. Questo il suo teatro. Che è solo una piccola parte della sua innumerevole e multiforme attività, profusa prodigalmente dal suo ingegno esuberante nelle più disparate funzioni della professione giornalistica - che è col teatro, il suo più fervido amore - e nelle più dilettuose variazioni della spicciola letteratura descrittiva e narrativa, rinnovate nel suo spirito da un'assidua e ingenua rielaborazione umoristica della vita.
Il dramma del conte Cesare fu, nel Tramonto, interpretato da Ferruccio Benini. Del resto Benini fu l’interprete di ogni opera del Simoni. Non si poteva perciò, pubblicando qui una commedia del grande critico, evitare la rievocazione dell’impareggiabile attore, alla morte del quale (1915) le antiche e gloriose sorti del teatro veneziano parvero declinare senza più speranza. La compagnia che egli diresse per circa vent’anni, fu, al suo tempo, una delle più caratteristiche e perfette, mirabili per fusione, studio, efficacia di interpretazione. Al grande interprete del Goldoni e del Gallina la storia ha reso ormai tutti gli onori, e non è qui necessario che noi rievochiamo date ed episodi dell’alta sua vita perché il suo nome né riceva ancora lume. Ci parrebbe, anzi, che così lo menomassimo …
TRAMONTO - COMMEDIA IN TRE ATTI
Rappresentata la prima volta al Teatro Olympia di Milano dalla Compagnia Veneziana di Ferruccio Benini la sera del 9 febbraio 1906
PERSONAGGI - IL CONTE CESARE (età 55 anni) - EVA sua moglie (età 50 anni) - LA BARONESSA, madre di Cesare (età 85 anni) - CARLINO, nipote di Cesare (età 10 anni) - DON SABINO, prete - CALLISTO, segretario comunale - MARASCA MARIANNA, sua sorella - UN DOTTORE - LA CONTESSA PIVIOTO - PROSPERO CAOLA -BURAN - OTTAVIO, servitore.
L'azione in un paese del Veneto. Tempi moderni.
ATTO PRIMO
La scena rappresenta una gran sala a pianterreno di una villa. Nel fondo porta vetrata che dà sopra un giardino irrigidito dall’inverno. Sulla parete di destra un trofeo di armi, un gran tavolo, sedie, etc. A sinistra una porta. Appese al muro un ritratti di Eva giovane. In questa camera si entra senza farsi annunciare secondo le abitudini di campagna.
SCENA PRIMA (Don Sabino e Carlino)
DON SABINO – (con una rosa fra le mani, accarezzandola di tratto in tratto e servendosi per accompagnare il prio gesto) Sicelides Musae, paulo majora canamus.
CARLINO - (ripetendo) Sicelides Musae paulo majora canamus.
DON SABINO – (incalzandolo) Canamus!
CARLINO – (ripetendo ancora) Canamus…
DON SABINO – E punto fermo e che no ti xe bon de andar avanti.
CARLINO – Xe difficile! ...
DON SABINO – Non ti ha studià.
CARLINO – Si che ho studià.
DON SABINO – Ti ha studià? Ti ha studià? Un verso e po’ me casca l’aseno.
SCENA SECONDA (Cesare e Detti)
CESARE – (entrando) Che aseno xelo questo che casca, don Sabino.
DON SABINO – (alzando la rosa in segno di saluto) Niente paura, sior Conte, el xe un aseno metaforico.
CARLINO – (sbianca dalla paura)
DON SABINO – (alzandosi in piedi) Ghe gera una volta uno studente che non saveva la lezion.
CESARE - (duro) L’aseno dunque sarave mio nevodo? La metafora resta in famigia.
DON SABINO – Ritiro l’aseno: lassèmolo là, no parlemoghene altro.
CESARE – Parlemoghene! Carlin! (Carlino alza la testa atterrito) Vien qua (Carlino eseguisce)
CASARE – (dandole un colpo con il palmo della mano sotto il mento) Su l testa. Guarda in faccia la zente (dandogli un colpo sulla nuca) Tienla zo. Tienla zo, che non ti ga diritto de vandarme. Quando uno de la me famigia se contien in modo che i pol darghe de l’aseno …
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