Angelo Musco racconta ...
Questa sera Angelo Musco è in vena di raccontare. I rìcordi del passato gli si affollano alla mente; ed egli - si vede - prova un gran piacere a comunicarli ad un amico giornalista. Non precisa Ie date; parla di parecchi anni addietro, ma pare che la scena si svolga nel momento in cui la descrive. - Cantavo tra me e me - dìce - una serenata per Ie vie buie di Catania... Un signore che passava, e che era un comico napoletano, mi domandò, forse non senza una punta d'ìronia, perchè non tentavo le vie del teatro lirico... Lo guardai male - e Musco socchiude gli occhi come vuole fare ancora quand'ha ia pipa in bocca, nel San Giovanni decollato - e fui lì lì per prendere a calci I'importuno critico; ma mi parve d'intravvedere, molto lontano, qualcosa a cui non avevo mai pensato e cambìai pensiero. Musco era giavanissimo, allora, e non aveva potuto ancora orientarsi su quello che avrebbe potuto e dovuto fare nella vita. Quel comico napoletano, ironicamente, gli offrì uno spiraglio per cui guardare sull'avvenire. Molto probabilmente il suo desfino si decise proprio in quell'istante. Allora, in Sicilia non andavano che umili Compagnie napoletane. Anche la maschera di Pasquino era aI tramonto; Ia comicità delle sue frasi sminuiva sempre più di effetto, perché Pasquino ero il primo a riderne, anzi rideva de' suoi lazzi prìma ancora di averli pronunciati. E Giuseppe Rizzotto dopo aver sfiorata nei Mafiusi, commedia popolare vera, anzi capolavoro di verismo, la ceIebrità, aveva già chìuso la sua brete parabola. La mancanza di artisti e di repertorio impedirono a Giuseppe Rizzotto di dar vita ad un teatro dialettale siciliano; questo aveva finito col rifugiarsi tra i pupi; e quello napoletano cercava di sostituirlo. Quel viandante notturno - continua Musco - mi aveva, senza volerlo, additata Ia strada. Ne seguii il consiglio, o quasi: entraì in un povera zingaresca Compagnia venuta fuori dai bassifondi partenopei e divenni... cantante napoletano, senza capirlo... A me, veramente, piacevano le parti tragiche; ma vedendo quello che bastava a far ridere il pubblico, mi parve che la comicità che sentivo in me e attorno a me avrebbe mosso il riso anche sulla scena; ed un giorno, nella paterna casetta di Catania, sapite cu feci?... Tagliai spietatamente un abito di mio padre alla "pasquina", mi truccai grossolanamente col nero di una padella e, nella mia stanza, cominciai a recitare a me stesso... Ma la cosa finì male! E finì male perchè sua madre, alla vista dello scempio di quell'abito, si adirò, e il neofita sentì quel giorno le carezze di un bastone. - In seguito fui scittturato, con ventìcinque soldi di paga aI giorno, vitto e alloggìo compreso... Non c'erano contratti di lavoro, a quei ternpi, nè commissioni arbitrali... e nessuno pensava di iscriversi alla Camera del lavoro come... lavoratore del riso e del pianto... Fu allora che varcai i confinÌ della mia patria, arrivando fino a Giarre. Qui cambiai rotta. (Musco non vuol confessarlo: ma a cambiar rotta lo spinse I'amore). Divenni ballerino... un ballerino sui generis... Componevo le danze (o capriole che dir si voglia) fuor d'ogni regola e d'ogni ritmo. Di poi passai in una Compagnia di operette, naturalmente d'infimo ordine, ma per poco. Feci un salto nel teatro di varietà, esplìcandovì le mie risorse di cantante, di ballerino, di trasformista... Assunsi quindi la direzione di una Compagnia naltoletana - non era il coraggio che mi mancava! - e finalmente arrivai al piccolo teatro "Macchiavelli", sempre a Catania, dove recitava Giovanni Grasso... Musco ha finito di rivestirsi. Turi Pandolfini, iI fedele nipote, il suo alter-ego, attende sulla porta, col mantello e la bombetta del "commendatore" in mano. Musco infila il cappotto, ne rialza il bavero, si caccia in testa di traverso I'immancabile cappello duro, e usciamo dal teatro, in via Nazionale. - Ho detto dei miei ìnizi, la storia antica... saltiamo l'età di mezzo della mia carriera artistica, il mio medio evo, e veniamo ai tempi modemì... Come Cristo, ho salito il mio calcario. E Musco ricorda che accanto a Giovanni Grosso egli si sentiva come coperto e soffocato dall'ombra del forte e violento attore siciliano. Perciò, nonostante i successi riportati nei lunghi anni a fianco di Grasso, quando volle essere lui, affermare liberamerte la sua personalità drammatica, dovette arrampicarsi per un sentìero sassoso, dìfficile, pìeno di sterpi e di spine, sentiero che eglì però ricorda agli amici con giusfo orgoglio, quasi con compiacimento, La vittoria gli appare più bella in quanto più aspra fu lo battaglia. Ora Musco s'è fatto serio. La sua piccola persona non ha requie; freme, si muove, si agìta; ogni frase è accompagnata da gestì rapidi e improvvisi; quasi ogni parola trova un espressivo bizzarro commento nella sua tipica fisonomia. Gli occhietti profondi e luminosi come punte di acciaio incandescenti sembrano spostarsi nella sua faccia. A momenti l'attore si erge o si rannìcchia come se volesse spiccare un salto; il suo corpo sembra argento vivo. Narra la sua dramntatica odissea d'attore e di capocomico, la miseria di ieri, le amarezze e le tribolazioni di una tournée attraverso la penisola, un bel giorno coronata da una magnifica improvvìsa vittoria. La maschera comica gli è caduta dal viso. Con foga meridionale, con colorÌte ma sincere espressioni del suo pittoresco dialetto, dice della grande pena sofrerta, della sua tenace volontà nella lotta, della certezza nella riuscita finale. - Nel 1915, nei primi mesi della nostra guerra, a Catania avevo formato una Compagnia comica con elementì in massima parte nuovi per il teatro, che io avevo strappato alle loro terre, alle Ioro montagne: elementi ingenui, materia grezza, plasmabile insomrna... Come in un sogno (i sogni hanno attuto una gran parte nella via crucis e nella vittoria di Angelo Musco) io vedevo dinanzì a me, lontano, lontano, un lumicino; ed io m'ero fitto in capo di raggiungerlo. Ma era al di là dell'isola, era verso il nord; ed ardua impresa pareva allora a dei comìci siciliani varcare lo stretto, spingersi verso paesi dove si parlava un dialetto assolutamente diverso e dove ìI teatro aveva tradizionì così dissimili... Pure, volli tentare la partita... E Musco narra come attratto dal continente, quasi fosse una possente calamita, soltanlo Ià vedesse la mèta, la vittoria; come venne in ltalia, e come a Salemo cominciò lo sua vera. odìssea. Pareva che il teatro siciliano tosse diventato un monopolio, un chìuso ìncontrastato campo di Giovanni Grasso. Conobbe allora Musco per la prima volta le amarezze del capocomìcato. Quali spaventosi vuoti, quali forni alle sue rappresentazioni! Nei lunghì anni trascorsi col Grasso, Musco aveva accumulato una piccola modestissima fortuna, ch'era servita a comprare una casa per la vecchia mamma, nella sua dìIetta Catania, ed un gioiello: un anello con brillante. Quell'anello era tutta la sua vanità; e fu il primo a salire il Sacro Monte, a Salerno. Ma l'attore siciliano non era ancora a' suoi giorni peggiori. - Le dolenti note - mormota Musco, socchiudendo gli occhietti ora un po velati - si accentuarono a Pisa, Livorno, ed ancora più a Pistoia. Ad ogni recita davanti a me e ai miei compagni si faceva il vuoto ... Ad ognì era un vuoto pneumatico a cui faceva riscontro il vuoto del nostro stomaco ... Dovetti mettermi al regime delle mezze porzioni e, io che avevo sempre fumato come parecchi turchi messi insieme, dovetti rinunciare alla gioia del sigaro... ma la mia corona di spine non era tutta qui: i miei attori cominciavano a dubitare di me e non avevano poi tutti i torti costretti, com'erano, a certi salti acrobatici attarverso le cinquine!... "Torniamo in Sicilia!" dicevano.. Ed a me pareva d'essere un po' Cristoforo Clombo, perché come lui navigavo in un gran mare... di guai... No, ancora, ancora un po' avanti!... quel famoso lumicino era sermpre dinanzi a' miei occhi... lassù... - Cuntate du sugni - suggerisce Turi Pandolfini. - 'U sugnu... si. Una notte a Pistoia, un sogno venne a gettare lo scoramento e il dubbio nella mia anima... M'era sembrato di mangiare un grosso pezzo di carne cruda, e dei dolci, molto dolci. Caspeta! Secondo la cabala, la carne cruda e i dolci portano sfortuna. E difatti, sfortuna fu. (Angelo Musco piange e ride). A Verona per andare in scena dovetti pagare sedice lire per far andar su il sipario. Non se ne erano incassate tante per Ie spese di scena. Erano venuti a sentirmi un tenente colonnello e un capitano. Nessun altro. Volli recitare lo stesso. Al secondo atto - davo Lu paraninfu - il colonnello si alza in piedi e grida: "Siete grande! Ci vuole del coraggio a far quello che fate voi..." Mi misi a piangere come un picciriddu. Non potei continuare: pensavo a tutto quello che avevo fatto, al mio sogno, al lumicino che mi pareva di vedere sempre lontano... più lontano. Fu un attimo; poi dissi: Picciotti, sotto! e ripresi a recitare. E recitammo come non avevamo recitato maì: per quei due soli spettatori. A Vicenza peggio. Una notte dormii in mezzo ai poveri, su un pagliericcio, per terra. Chi russava di qua, chi russava di là... 'na orchestra, e io, a un certo punto, mi alzai e usciì. Un treddo che non vi dico! ... In una strada, appiccicato ad muro, vedo un manifesto col mio ritratto, quello in cuì rido... sicuro, come nella réclame dell'Odol... Mi fermo e mi metto a parlare con la mìa effigie: "Chi mi rappresenti cu sì? un artista? un imbecille? chi mi rappresenti?" E sputai sulla totografia. (Musco ne approfitta per tontare a sputare) Stogavo la bìle contro me stesso... Ma neppure allora mi arresì. La mia Compagnia: non ne parliamo... Mio nipote Turi, non più attore, ma utficiale telegrafico... telegrafa cca pi cinquanta liri... telegrafa dda pi centu... Ma iu lu sacciu chiddu che soffrii... non Io pozzu esprimeri! A Legnago la Compagnia rimase in panne. Non potevo pagare i vìaggi. E inutile dire che Ia me casa di Catania... non era chiù mia!... Arrivammo a Sanguinetto. Non c'erano più sorprese per noi. In ogni paese era la sfessa cosa: nessuno veniva a sentirci... Facevamo il vuoto, dinanzi a noi... A Sanguinetto, un piccolo paese di modeste risorse teatrali, Campagna padre, che faceva un po' da attore e un po' da amministratore, venne a dirmi che c'erano cinquantamila lire da guadagnare... Nel paese volevano rappresentrare La Passione di Cristo. Rimasi perplesso: ma c'era poco da scegliere. Fu mandata a Mìlano una persona a raccogliere i costumi e gli attrezzì, ed allestimmo Ia Passione. Io dirigevo, ma non recitavo. Quante speranze in quello spellacolo! La sera, il teatro era quasi vuoto. Mancu de Cristo volevano sapiri in quel paese!... Foceva un freddo terrìbile. L'attore che rappresentava Nosfro Signore, tremava di freddo salendo iI calvario. "quello chi è?" Mi chiese un'autorità di Sanguinetto ... Non riconoscevano neppure Cristo! ... Non importa: tutti recitarono la Passione con una sincerità incredibile : era la loro storia!... Ma I'indomani ci fu una specie di pronunciamento: nessuno voleva andare più avanti. Ci fu chi tra i miei comici sciolse la Compagnia senza neppure avvertirmi. Ma io supplicai tutti di arrivare fino a Milano: la mia méta. Là, in un giornale teatrale, mi avevano preparato il terreno... con una notiziola di questo genere: "Si dice che la Compagnia di Angelo Musco abbia rappresentato in un paesetto - La Passione di Cristo -. Per una primaria Compagnia che deve venire ad affrontate il giudizio di Milano, non c'è male!..." Basta; i miei comici accettarono, non sapendo che fare di meglio, di seguirmi a Milano. La mattina della partenza, siccome il treno era in ritardo, andai a nascondermi in un vagone, ch'era abbandonato in un binario morto, e là, solo solo, piansi tutte le mie lacrime... strizzai lu vasetto lacrimatorio fino all'ultima lacrima... E se mi fossi sempre ingannato? E se a Milano fosse successo come in tutti gli altri paesi? ... Un fischio mi fece sobbalzare;era il treno. Poco dopo, nello scompartimento di terza classe, faccio una scoperta: una farfalla sulla mia spalla. "Turi" - dico a mio nipote - "guarda sta farfalla..." "Farfalla è ziu". "Nun capisci?... Era tanta la fame - dice Musco ridendo - che nessuno capiva più niente. "Questa farfalla è la mia fortuna, nun la cacciari, Iassala stari! E la farfalla ferma. "Mi portu sta farfalla, signuri miei, sinu a Melanol Cose spettacolose, da non crederci. A Melano la pigghiu e la mettu 'nmezzu a un libro..". Finalmente ecco Musco a Milano! - Se a Milano - dice - non fossi riuscito ad affermarmi, era finita per me... Avrei dovuto discioglìere la Compagnia e certo non avrei osalo tornare mai più in Sicilia. Pensavo ad una mia rivoltella; ma mi pareva che anche aII'ultimo momento avesse dovuto beffarsi di me... pensavo che si sarebbe messa a ridermi sul muso... Milano era I'ultima carta che io giocavo contro l'avversa fortuna. La prima sera il teatro era quasi vuoto. Non mi scoraggiai ancora: mi recai dai critici dei principali giornali della città e li supplicai dì venire a sentirmi la seconda sera nel Paraninfu. Quella sera, prima che si alzasse il sipario, un po' alticcio com'ero per aver bevuto assieme con Turi un po' di vino con gli ultimi tre soldi che ci rimanevano in tasca, a digiuno, raccolsi attorno a me, sul palcoscenico, i miei attori sfiduciati e parlai, parlai... Dissi loro che io non sarei stato più Angelo Musco se quella sera non vincevamo e se all'indomani per tutta Milano non si fosse parlato della Compagnia Musco... Dissi loro che Angelo Musco si sentiva quella sera quello che era sempre stato e che tale sarebbe rimasto. Dissi loro un monte di cose e poi diedi il segnale di alzare il sipario e la commedia incominciò. Musco ora, per quanto faccia freddo, suda; i suoi occhi roteano senza ritmo; balbetta; piange; ride. Ricorda il trionfo di quella indimenticabile sera, in cui superò se stesso, in cui diede al personaggio della commedia del Capuana dei segni e dei caratteri al di là di quanti ne aveva immaginato l'autore. Quale irresistibile comicità seppe cavar fuori dalla sua frenetica paura! Aveva il pianto nel cuore; la voce gli tremava; e seppe far ridere fino allo spasimo. E l'indomani i giornali milanesi, e sopra a tutti nel Corriere della Sera "papà Semoni" esaltarono il grande attore comico, ed in breve il lontano obliato teatro di Porta Magenta vide folla di pubblico forse non conosciuta mai... Da quella sera la strada di Angelo Musco è divenuta facile, cosparsa di rose. - La tua vita è la più bella delle tue commedie, e come l'hai recitata!... - dico a Musco. stringendogli la mano per andarmene. - E perché non la scrivi? - Eh! chi sa!...
MARIO CORSI
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